Malika Ayane: «Ho subito soprusi come tutte: meglio essere strega che ipocrita»

Malika Ayane: «Ho subito soprusi come tutte: meglio essere strega che ipocrita»
di Andrea Scarpa
7 Minuti di Lettura
Domenica 12 Novembre 2017, 09:05 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 13:05

Quando è emozionata, e cerca di trasmettere in ogni modo l'importanza di quello che dice e che fa, la pelle del viso di Malika Ayane, sotto l'occhio destro, ha delle piccole contrazioni involontarie, lunghe e ripetute. Una tensione emotiva che colpisce, la sua. Di sentito e coinvolgente da comunicare, stavolta la cantante ha la serata Non solo 25 che ha organizzato e presenterà il 16 novembre a Milano - al Teatro Nuovo - per raccogliere fondi da devolvere alla onlus Fare X Bene in vista della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, in calendario fra due settimane, il 25. Al suo fianco, fra i tanti, artisti come Tommaso Paradiso di TheGiornalisti, Brunori Sas, Roy Paci (info: farexbene.it). Si parte dal tema del giorno, che ormai da tempo è il tema di tutti i giorni: gli abusi. Sulle donne.
 

 

Mai stata vittima?
«Certo, come tutte. Ognuna di noi, prima o poi, ha subito un atteggiamento violento, offensivo e umiliante da parte di un uomo».

Nel suo caso è successo anche di recente?
«Accadeva molto di più in passato, quando non ero famosa e non avevo i riflettori puntati addosso che, al contrario, negli ultimi dieci anni mi hanno regalato una specie di scudo. Questo, però, non vuol dire che anch'io non prenda schiaffoni».

Che vuol dire?
«Sui social l'insulto bestiale, ripetuto e ingigantito arriva come se niente fosse. Soprattutto quando vado ospite in Tv, in radio, o a Sanremo. In quei casi, meglio lasciar perdere la rete per qualche giorno e aspettare che passi. Anche perché non riesco proprio a recitare la parte di quella navigata, che si fa scivolare addosso tutto, e tira dritto. Ci resto malissimo».

Prima, invece, che cosa le è capitato?
«Di tutto. Ricordo che a 19 anni, quando frequentavo le scuole serali alla periferia nordest di Milano (di giorno seguiva i corsi di musica della Scala, ndr), conobbi un ragazzo che a un certo punto mi invitò a bere qualcosa. Insicura e imbarazzata, senza saper sostenere un rifiuto, accettai controvoglia. Lui, al ritorno, in macchina ci provò pesantemente, io rifiutai, e la serata finì in maniera incredibile: mi scaricò in mezzo alla strada, sotto il ponte di Lambrate, tirandomi addosso le monetine».

Un signore.
«E mi insultò pure, perché tanto il pensiero a monte era ed è sempre quello: ti invito-accetti-ti offro da bere-ci provo e poi non me la dai? Allora sei una troia e faccio bene a incazzarmi. Il dato allarmante è che, dati tedeschi del 2016 alla mano, una donna su tre non capisce la differenza fra attenzione e molestia».

Così tante?
«Sì. C'è un problema serio di identità, rispetto per se stesse e riconoscibilità dei comportamenti. Non è violenza pura quella di chi mi scrive su Instagram: Non sei una figa, però mi fai sangue e ti farei questo e quest'altro? Ecco, perché mai dovrei essere contenta se un uomo mi scrive per farmi sapere che mi considera un pezzo di carne buono per scaricarsi? Non è un abuso, questo?».

Fra loro le donne solidarizzano?
«Direi di sì. Il brutto, però, è che poi intorno a noi tutto si riduce alla questione di sempre: darla o non darla».

Può aiutare a fare carriera?
«Si può anche darla via, e di sicuro non giudico, diciamo che me ne frego, ma poi che carriera si fa? Se non si ha niente da dire non si va da nessuna parte. L'aspetto più triste è rendersi conto che per tanta gente, ancora oggi, sembra impossibile che una donna possa avere successo per suoi meriti e non per averla data a qualcuno».

Mai sentito dire questo di lei?
«Certo. Ogni volta che per i miei concerti ho cercato di fare un allestimento ricco e importante, c'è sempre stato qualcuno che ha messo in giro la voce: Malika deve averla data a chissà chi Senza sapere che li avevo messi io, e magari alla fine li ho anche persi Costumi, scenografie, tanti musicisti costano».

Lei come ha trovato la strada per le occasioni giuste?
«Studiando, ascoltando, aprendo gli occhi intorno a me. Ho lavorato come receptionist, hostess ai convegni, guardarobiera in Rai per la Domenica Sportiva, barista alla Scala, dj, cameriera, operatrice di call center. Tutto questo mi è servito per capire che bisogna impegnarsi sempre al massimo».

Tempo fa disse di sentirsi come una navicella del vecchio videogioco Space Invaders: sempre sotto tiro. Adesso come va?
«Peggio che mai. Io ho sempre la pistola ad acqua e i colpi arrivano da tutte le parti».

E quindi?
«Non ho paura. Ho la scorza dura e non mollo. Mi piace aver scoperto a 33 anni di essere resistente e che essere sensibili e fragili non è una cosa negativa».

A che punto è alla sua età?
«Non so se è lo yoga, che pratico da poco, ma sto bene. Sto imparando a godere di quello che faccio mentre lo faccio. Infatti apro mille fronti, ho sempre voglia di buttarmi nelle nuove cose con coraggio e incoscienza. La mia natura è questa».

Il musical Evita dell'anno scorso è un tuffo andato male?
«Quello è stato un massacro. Faticosissimo. Che rifarei solo per farlo meglio. Ho sottovalutato il fatto di essere l'ultima arrivata in un ambiente dove tutti erano pronti a tagliarmi le gambe alla prima esitazione. Altro che Space Invaders».

Una faticaccia.
«Ogni errore diventava una tragedia. Ho pianto a dirotto tutti i giorni, e alla fine mi sono anche ammalata. Ero distrutta. Detto questo, è stata comunque una grande avventura: il regista Piparo mi ha insegnato tanto. Per questo ho rosicato per non aver fatto di meglio. Adesso vorrei farne un altro».

Sicura?
«Sono impavida. Non ho paura delle conseguenze delle cose che scelgo di fare. Ho le spalle larghe e pago tutti i conti che devo pagare».

L'ultimo?
«Il divorzio, fra pochi giorni. Il mio ex marito (il milanese Federico Brugia, 50 anni, fra i più quotati registi pubblicitari d'Europa, ndr) è un uomo straordinario e un artista pazzesco. Dalla nostra storia ho imparato l'importanza di essere liberi e dignitosi. Non ha idea di quanta gente mi ha detto: non ti separare, resta a casa, e fatti i fatti tuoi in santa pace ogni volta che puoi. Non fa per me una vita così».

Quindi?
«Meglio la lettera scarlatta, essere bruciata viva come una strega e passare per rovina-famiglie, che sopportare l'ipocrisia e il sotterfugio, che è mortificante soprattutto per chi pratica l'inganno».

Parla perché sa quello che dice, giusto?
«Giustissimo. Per questo non mi piace».

Dopo una figlia - Mia, 12 anni - con uomo, un matrimonio con un altro, si risposerà ancora?
«Chi può dirlo. Sì. No. Forse. Per ora sono ancora fidanzata».

È vero che sta scrivendo un libro?
«Sì. Per Garzanti ci sto provando da un annetto. Diciamo che la letteratura non ha bisogno di me, né della solita autobiografia della cantante che si guarda l'ombelico, quindi vorrei fare qualcosa di decente».

La prima cosa di indecente che le viene in mente?
«Non mi piacciono i casi umani. Non ho mai avuto voglia di essere commiserata: la marocchina, la periferia etc. Per carità».

Da quasi cinque anni ha preso una casa a Berlino: perché? Com'è l'Italia vista da lì?
«Lenta, immutabile, piccola. Lì, invece, c'è vitalità e spazio per tutti. C'è il mondo a Berlino. E stare lì, io vivo a Kreuzberg, mi serve per recuperare normalità. Voglio restare una persona, non diventare un personaggio».

A Berlino canta o no?
«Ho una band e insieme facciamo seratine nei locali. Mi diverto come una pazza. La bellezza della musica bisogna farla girare».

Quando va in Germania?
«Nei fine settimana, o quando posso. Quest'estate, per esempio, l'ho passata tutta lì. Mia figlia Mia ha frequentato anche una scuola per imparare il tedesco».

Lei come sta messa?
«Mi faccio capire».

A maggio, per le Politiche, chi voterà?
«Per il male minore. L'ultima volta era il Pd di Renzi, adesso non lo so. Da qui a maggio devo studiare. Non sono ottimista, però. Anzi, la vedo male».