Spirit, il nuovo album dei Depeche Mode: tra Allan Poe e Bowie

I Depeche Mode
di Marco Molendini
3 Minuti di Lettura
Martedì 21 Febbraio 2017, 13:23 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 22:07
La Depeche machine si è rimessa in moto: disco e tour dal titolo etereo, Spirit, lanciati da un singolo ultraterreno, Where's the revolution. Per i concerti bisognerà aspettare l'estate, la band di Basilidon è prenotata il 25 allo stadio Olimpico, il 27 a Milano, San Siro, il 29 a Bologna (per tutte e tre le date ci sono biglietti disponibili e ancora a prezzo reale, non gonfiato dal secondary ticketing). Per il disco, invece, i tempi sono più brevi. Detto che il singolo Where's the revolution gira già nelle radio ed è disponibile in digitale, l'album verrà pubblicato il 17 marzo, ma l'abbiamo già ascoltato, con le sue eleganti suggestioni synthpop, in perfetto stile Depeche, che fanno da contrappeso alle ruvidezze di alcuni testi.



IL SOUND
La sensazione netta è che, da una parte, Dave Gahan e soci siano stabilmente indirizzati su un prodotto di alta confezione (stavolta si sono rivolti a James Ford dei Simian mobile disco), una sartoria pop firmata che cura in modo maniacale i suoni, perfino abusando di una certa civetteria, giocando su trame sintetiche che abusano con i loop ma provano a riscattarsi da una parte con il croooning primitivo di Gahan, dall'altra con la ricerca del graffio attraverso la scelta di testi energici. «Non è un album politico, ma è sul nostro ruolo di esseri umani» ha commentato David. È la voglia di esprimere una sorta di malessere che avrebbe potuto anche essere esplicitato con un titolo ben più angoscioso: Maelstrom, con riferimento a Edgar Allan Poe, (ma l'idea è stata accantonata dal timore di apparire quasi heavy metal). I bersagli vanno dagli strali lanciati contro i bigotti di Going backwards, all'esortazione del pezzo più riuscito Where's the revolution («dov''è la rivoluzione. Su, gente, mi state deludendo») che se la prende coi «patriotic junkies» (i drogati di patriottismo). 
In Cover me, però, c'è quasi rassegnazione: parla di una persona che sbarca su un altro pianeta e arriva alla conclusione che non cambia nulla. Il richiamo a David Bowie e alla sua Starman è tutt'altro che casuale. L'ammirazione verso il Duca Bianco è presente nei momenti migliori del disco, anche se manca quel grido lancinante, specie dell'ultimo Blackstar. Del resto i Depeche Mode, a conferma di quanto Bowie pesi per loro, gli hanno reso omaggio con un concerto a New York nell'High Line public park, dove hanno suonato vari pezzi di Spirit.
LIVEAlla fine, comunque, il disco lascia intuire che il suo pieno compimento sarà nella prova live, affidata a un maestro come Anton Corbijn, che pure ha messo il suo tocco nell'art work, nelle foto dell'album e nel video di Where's the Revolution? Le ballate, i tempi larghi la fanno da padrone, fin dal pezzo di apertura Going backwards, o nella brevissima, quasi un intermezzo, Cover me, o in Eternal, un'orazione d'amore che fa pensare (nel testo) alla meravigliosa La cura di Battiato: «Ti proteggerò e ti circonderò con il mio amore come ogni uomo potrebbe» canta Gahan, o in No more, la più afferrabile dal punto di vista della linea melodica. Ma ci sono anche improvvisi sussulti ritmici, non solo in Where's the revolution ma anche nell'allusivo Scum, che parte da una citazione psichedelica, o in You Move dove la drum machine invita a consumare il pezzo in discoteca, o nella brutale Poison Heart, che parte da una sorta di marcia e canta: «Tu hai il veleno nel tuo cuore», o nella veloce So much love (centrata sul binomio love and peace, quasi alla John Lennon).

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA