Arctic Monkeys, più stile che rock. Stasera la seconda data all'Auditorium

Arctic Monkeys, più stile che rock. Stasera la seconda data all'Auditorium
di Andrea Andrei
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Domenica 27 Maggio 2018, 16:56 - Ultimo aggiornamento: 17:22

Conciliare lo stile con un rock genuino in grado di scatenare il “pogo" sfrenato non è dote da tutti. Una dote che gli Arctic Monkeys avevano dimostrato di avere ben piantata nel Dna fin da quando salivano sul palco, ancora minorenni, esibendo con sfacciataggine adolescenziale le loro facce imberbi e brufolose vestiti in jeans e felpa di cotone con il cappuccio. Una dote che, 12 anni più tardi, ieri sera hanno dimostrato anche davanti ai cinquemila fan adoranti alla cavea dell’Auditorium Parco della Musica, per la prima delle due date che vede la band di Sheffield impegnata nella Capitale per il tour di presentazione di “Tranquillity Base Hotel & Casino”, nuovo album uscito l’11 maggio scorso a 5 anni di distanza dal precedente, “AM”.
 

 

Disco che li ha riportati sulle scene profondamente cambiati, decisamente più maturi ma forse anche meno divertenti. Le “scimmie artiche” hanno avuto il coraggio di proporsi con un lavoro profondamente diverso, che strizza l’occhio a un sound più sperimentale, che offre parecchi riferimenti a quello di David Bowie.

Il palco è elegante, e ricorda quello di un locale jazz degli anni ‘50. Come scenografia, una semplice scritta “Monkeys” luminosa. Il cantante e chitarrista Alex Turner (che nel nuovo album suona per la prima volta anche il pianoforte) sembra perfettamente a proprio agio (fin troppo) nella sua nuova veste, fatta di completi un po’ abbondanti, capello lungo ingelatinato pettinato all’indietro, baffi e barba ben curati.

Quando i quattro entrano in scena, la cavea dell’Auditorio si trasforma in uno stadio, con un boato impressionante. L’inizio è su “Four Out of Five”, primo singolo estratto dal nuovo album, e il pezzo che segue subito dopo, Brianstorm, infiamma davvero la platea. Si tratta del brano di apertura di “Favourite Worst Nightmare”, secondo album della band che condensava una carica indie rock tutta britannica veramente irresistibile. Il ritmo è forsennato, il parterre visto dall’alto sembra una bolgia infernale.

La Cavea dell’Auditorium, adibita per la prima volta a un concerto del genere e dove per la prima volta il pubblico ha potuto assistere in piedi allo show, viene messa subito a dura prova, ma reagisce benissimo. Il colpo d’occhio è notevole, l’acustica chiara (anche se a più riprese si notano dei problemi soprattutto con la chitarra di Turner, che improvvisamente sparisce), gli spazi ordinati nonostante l’afflusso di pubblico straordinario fin dalla mattina.

Poi tocca a “Crying Lightning”, singolo tratto da quel disco del 2009, “Humbug”, che ha rappresentato il primo giro di boa per la band britannica, e subito dopo a “Don't sit down 'cause I've moved your chair”, da “Suck it and see” del 2011. Insomma, un riassunto della storia del gruppo nei primi quattro brani, cosa che lascia davvero ben sperare e presuppone un climax ascendente che, viene da chiedersi, chissà dove porterà.

Invece il ritmo resta quello. Si passa da “Tranquillity Base Hotel & Casino”, che dà il titolo al nuovo album, a “Why'd you only call me when you're high?”, “505”, “She looks like fun””Knee socks”. Poi arriva finalmente il primo degli unici due brani tratti dal primo album, “Whatever people say I am, that's what I'm not” (capolavoro del genere che avrebbe dato un’impronta unica alla band), “I bet you look good on the dancefloor”. L’apoteosi indie, trattata forse con un po’ di sufficienza da parte della band, viene però interrotta dalla chitarra quasi silente di Turner, che però non si dà per vinto. Alex è uno di quei pochi cantanti rock che possono vantare una voce talmente magnetica da risultare più bella dal vivo che sulla traccia di un album. E lui, 32enne leader indiscusso della band più preoccupato a flirtare con le prime file che a scatenarsi sul palco, ne è perfettamente consapevole, come si evince dal fatto che ogni tanto intona qualche nota a a cappella di brani classici del repertorio italiano, ammiccando al pubblico che impazzisce a ogni sua minima mossa. Davvero incredibile, se si pensa che nel primissimo progetto Arctic Monkeys lui avrebbe solo dovuto suonare la chitarra, non sentendosi all’altezza del ruolo di cantante. È proprio attorno alla figura di Turner che ruota la vera metamorfosi dei Monkeys, che oggi hanno l’appeal della grande band ma che risultano anche più snob, perdendo un po’ di quella genuinità che li aveva proiettati nell’Olimpo delle migliori band della scena rock mondiale. Sarà che quando si cresce molto in fretta il rischio di prendersi troppo sul serio è alto.

Fatto sta che lo show continua con picchi spettacolari, come “Cornerstone” (qui l’Auditorium dà il meglio di sé quando le tribune della Cavea splendono delle luci degli smartphone, in un’effetto realmente emozionante) e altri decisamente meno esaltanti. Si prosegue con “One point perspective”, “American sports”, “Fireside”, “Pretty Visitors”, “One for the road” e “Do I wanna know?” a chiudere in bellezza la prima parte dello spettacolo.

Gli Arctic rientrano pochi minuti dopo e riaccendono il pogo su “The view from the afternoon”, poi passano ad “Arabella”.
Turner concede solo le prime strofe di “Mardy Bum”, sempre a cappella, prima di affidare il finale a uno dei brani più conosciuti e più belli dei Monkeys, “R U Mine?”. Applausi, ovazione. La band esce salutando per il secondo bis. O almeno così pensava il pubblico, visto che dall’inizio del concerto era passata un’ora e mezza. E invece no: il concerto finisce qui. Stasera si replica. Stessa ora, stessa cavea.

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