​“Parole armate”, la retorica del Califfato che ha disarmato l’Occidente nel saggio di Philippe-Joseph Salazar

“Parole armate”, la retorica del Califfato che ha disarmato l’Occidente nel saggio di Philippe-Joseph Salazar
di Sabrina Quartieri
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Mercoledì 27 Gennaio 2016, 21:58 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 13:27
Pensare che le armi cedano il passo alla parola, per il filosofo Philippe-Joseph Salazar, è una delle più grandi illusioni pacifiste. «La verità - secondo l’intellettuale francese - è che le armi amano le parole.  O meglio, trasformano le parole in armi nuove». Una tesi che introduce una serie di osservazioni acute, provocatorie a volte, contenute nel saggio di Salazar "Parole armate. Quello che l’Isis ci dice e noi non capiamo", edito da Bompiani. Vincitore del "Prix Bristol des Lumières 2015", il libro è uno studio inedito sui modelli di persuasione dello Stato Islamico perché, come si legge nella trattazione, fin dalla loro fondazione, il salafismo jihadista e la sua incarnazione armata, il Califfato, hanno dichiarato una guerra planetaria di comunicazione e, soprattutto, di persuasione di massa. 

Nel libro viene ricordato quando nel luglio 2014 Al Baghdadi apparve per la prima volta in video e, dalla santissima moschea di Mosul, intonò l’omelia di rifondazione del Califfato, diventando il califfo Ibrahim. Per l’autore, una cerimonia di incoronazione musulmana non teatrale, che ha dato una scossa al jihadismo vecchio stile, ha spalancato le nuove porte della guerra e ha aperto la strada dell’egira, ovvero il pellegrinaggio militante senza ritorno verso "l’ombra protettrice del Califfato", considerato dai jihadisti l'unica vera terra d’Islam. Una "dichiarazione d’indipendenza" islamica, secondo Salazar, che è un esempio chiaro di quanto siano "performanti" le semplici parole: una volta proclamato, il Califfato esiste. 

Nel saggio si suggerisce allora di prendere atto di questa proclamazione, di essere realisti e di prepararsi alle trattative. O meglio, ad una coesistenza non pacifica con il Califfato. Salazar invita quindi a riflettere sui mezzi retorici di un impegno politico di lunga durata, ora che, con i recenti attacchi di Parigi, il potere retorico persuasivo di Isis è sotto gli occhi di tutti: le parole accompagnano sia le azioni dei suoi soldati sul campo, che i massacri perpetrati dai suoi combattenti sul territorio straniero. Quello che si vuole colpire è il "politeismo", ovvero l’altro pubblico, non quello dei fedeli della moschea, bensì quello nemico. Il politeismo ingloba tutta la cultura occidentale e occidentalizzata: dal culto degli idoli della tribù, all’adorazione degli idoli del mercato, del teatro e della spelonca (chi giudica il mondo fuori dalla luce di dio). 

Per riassumere, i regimi democratici che pongono al centro del loro sistema i diritti dell’uomo e dunque fanno dell’uomo un idolo. E colpire anche i loro territori. Come si legge nel libro, l’argomento territoriale del terrore di Isis è il seguente: poiché la Francia appartiene già al Califfato, ma si trova occupata dai miscredenti, è necessario terrorizzare il suo popolo, ispirare in lui una “paura salutare”, e se non rispetta l’integrità dell’Islam, rifiutando la conversione, bisogna farlo fuggire. In altre parole, la manipolazione retorica indica che un'azione terroristica non è un atto di invasione puntuale, bensì di presa o di ripresa di possesso.

La domanda che si pone l’autore e a cui si tenta di rispondere nel saggio è come riuscire a comprendere, allora, la potenza oratoria e persuasiva del Califfato. Basandosi su una documentazione dettagliata, e spesso del tutto inedita, Salazar analizza i punti di forza del linguaggio della propaganda jihadista, dalla prodezza estetica alla conversione sensoriale, mostrando di contro la debolezza dei discorsi dell’Occidente, disarmato contro lo stile del Califfato: «Il nostro contrattacco armato non sarà sufficiente; per vincere la guerra sul campo dobbiamo prima vincere la guerra delle parole», spiega Salazar. In caso di negoziazioni, secondo il filosofo francese, bisognerà ammettere che non basta inviare diplomatici che parlano arabo. Bisognerà pensare islamico, parlare islamico, argomentare islamico. 

Secondo l'autore, che si conduca o meno un’offensiva militare effettiva sul campo del Califfato, occorre ripensare quindi i termini retorici di questo eventuale impegno e ammettere che lo scontro comincia con una guerra retorica, e un modello retorico si combatte solo comprendendo come funziona quello dell'avversario. Nato in Marocco nel 1955, Salazar è stato direttore del Collège International de Philosophie di Parigi. Dal 1995 è professore emerito di Retorica all’Università di Cape Town, ed è inoltre membro della Chatham House, Royal Institute of International Affairs nel Regno Unito. Delle tesi sostenute nel libro, Agnès Poirier di “The Guardian” dice: «Il suo saggio non ha solo incuriosito, ma anche scosso i miei compatrioti, gettando nuova luce sull’argomento».

Philippe-Joseph Salazar “Parole armate” (Bompiani, pp. 199, 17 euro)
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