Grass, quando lo scrittore venne contestato per il suo passato nelle SS

Grass, quando lo scrittore venne contestato per il suo passato nelle SS
di Renato Minore
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Lunedì 13 Aprile 2015, 21:11 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 15:04
Ci furono anche fischi, una bordata sonora e inequivocabile, quando Günter Grass arrivò allo stand di “Die Zeit” dove si presentava Sbucciando cipolle , davanti a una vera e propria piccola folla che intasava i corridoi del padiglione tedesco.



L’autobiografia dello scrittore approdava alla Buchmesse 2006 con tutto il suo carico di discussioni e di polemiche, Grass affrontava la prova forse più dura, quella diretta con i suoi lettori, senza la mediazione della televisione o della stampa. Quella del confronto e del dissenso di chi gli rimproverava, con la sua rivelazione tardiva, di aver taciuto quell’unico particolare scandaloso del suo passato: il volontario arruolamento in un corpo delle SS, per un periodo di breve addestramento in cui non fece in tempo ad essere impiegato in qualche azione militare e finì subito prigioniero.



Il giovane direttore di “Die Zeit”, Giovanni Di Lorenzo, che lo intervistava, andò subito al cuore del problema. La terza persona in cui era scritta l’autobiografia serviva a costruire una sorta di bonne distance dal personaggio che si attenuava lentamente a mano a mano che tolti “gli strati di cipolla” e affiorava la parte più intima del personaggio.



E allora perché? Come era stato possibile che Grass avesse taciuto per oltre sessanta anni? Come aveva potuto tacere lui che non aveva mai taciuto sul suo passato, confessando nell'adesione al nazismo il peccato originale della sua generazione, chiedendosi mille volte se fosse da considerarsi una colpa non essere riuscito a capire da solo quel terribile errore? Lui che per il suo modo spregiudicato di affrontare la storia del suo Paese - e la propria - era stato la voce della coscienza rinata, la voce che non si era mai stancato di ripetere quanto fosse necessario ricordare e distinguere?



Grass rispose che credeva di liberarsi dalla grettezza familiare aderendo al nazismo, sognava l’eroismo dell’estrema difesa della patria, e in famiglia quello «era un argomento tabu, nessuno ne parlava». La sua era stata una confessione, non aveva senso chiedersi perché l’avesse fatta. E se era passato tanto tempo, un tempo infinitamente lungo che poteva significare la rimozione di una colpa o un silenzio colpevole, per Grass la spiegazione era un’altra: «Uno scrittore ha bisogno di tempo per elaborare il suo racconto. Questo libro, che non è una autobiografia perché non è scritto in prima persona, l’ho avuto in gestazione moltissimi anni. E mi fa piacere che su questo argomento si siano dimostrati d’accordo con me la Gordimer e Vargas Llosa, il tempo è necessario allo scrittore».



Ma non tutti la pensavano così. Molti si erano sentiti traditi, avevano messo in discussione ciò che Grass aveva detto e fatto negli anni passati, avevano chiesto che rinunziasse addirittura al Nobel. Altri come Rushdie avevano salvato i suoi libri, ma non l’uomo. Grass però rivendicava il fatto che il suo era un racconto: per liberarsi di quella vergogna di aver indossato l’indegna divisa per due mesi, di quella dolorosa verità di cui non aveva mai parlato, gli era sembrato opportuno la sua trasformazione in verità letteraria. Però la “Frankfürter Allgemeine” aveva estrapolato alcuni estratti e ci aveva montato un caso. E, lo incalzava Di Giovanni, dopo tutto quello che era successo, avrebbe scritto ancora quello che aveva scritto, non si era pentito? «Assolutamente no. Ma starei attento a non farmi incastrare nella polemica. Uno scrittore ha diritto di difendersi da ogni strumentalizzazione, con ogni mezzo».



E precisava: il suo romanzo è una lettera aperta diretta soprattutto a quelli della sua generazione perché prendessero finalmente coscienza. «In tanti non hanno ancora confessato. Io posso essere ancora un battistrada». E, rivolgendosi all’italiano Di Giovanni, Grass concludeva: «Entrambi sappiamo cosa vuol dire essere figli di un Paese sconfitto».