Al Festivalletteratura di Mantova un vocabolario per raccontare le parole

Al Festivalletteratura di Mantova un vocabolario per raccontare le parole
di Renato Minore
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Venerdì 11 Settembre 2015, 16:29 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 18:54
«La parola è l'unica patria» si potrebbe parafrasare ciò che, dal suo esilio americano, scriveva Czeslaw Milocz. A Mantova, a Festivalletteratura che si apre mercoledì prossimo, otto scrittori europei (Melania Mazzucco, Maylis de Kerangal, Gëzim Hajdari, Stefan Hertmans, Peter May, Jorge Carrión, Zdravka Evtimova, Kostas Akrivos) provano da oggi fino a domenica a raccontare il «cuore messo a nudo» di una parola, il suo genoma, quel suo incancellabile tesoro di storia, identità ed emozione che ciascuna d'esse può evocare.



Per ognuno la parola è singola e insostituibile, proprio quella e non un'altra, “gusto” o “vittoria” o “sopportazione” o “esilio” o “migrazioni” (ne anticipiamo tre: “acqua” “straniero” e “viaggio”). Sono «parole d'autore» raccolte per l’ottavo anno consecutivo, dai linguisti Giuseppe Antonelli e Matteo Motolese in un vero lessico intellettuale europeo, redatto finora da ottantaquattro scrittori di una trentina di paesi in lingue romanze, germaniche, celtiche e slave.



Un Vocabolario tutto particolare che, invece di spiegare le parole, le racconta. Con la voce che le modella, ognuna nella sua irripetibile fisionomia fonica e semantica, queste parole vogliono realizzare l'idea già prefigurata nello "Zibaldone". Cioè «una specie di piccola lingua o vocabolario strettamente universale», secondo Leopardi, dove «la letteratura è uno specchio in cui si vede più di quello che c'è nell'altra parte, nella realtà». E la parola all’ombra è davvero il limite che produce «varchi di comunicazione e apre spazi di viabilità». È l'ibrido «non più racchiudibile nei modelli che siamo soliti attribuire al mondo, in griglie e classificazioni preostituite».



Quando Leopardi, in quella sua pagina di diario, vagheggiava un "Vocabolario universale Europeo", immaginava che l'opera («degna di questo secolo, ed utilissima alle lingue non meno che alla filosofia») si fondasse su "esempi giudiziosamente scelti di scrittori veramente accurati e filosofi". Di qui la particolare natura della raccolta che ha costituito negli anni il vocabolario di Mantova, Più che lemmi, le voci sono schegge di racconto, squarci di autobiografia. Più che riflessioni linguistiche, puntelli di idee forti, pronte ad animare il dibattito in un momento in cui, anche attraverso parole come viaggio o esilio o migrazioni o acqua, ha bisogno di confrontare le proprie identità.





LE PAROLE



Straniero

di Maylis de Kerangal (Francia)




Mi piace che questa parola designi uno spazio e caratterizzi un essere, un oggetto, una lingua. Credo che il mio desiderio di scrivere possa accendersi soltanto perché penso al libro futuro come a un oggetto, o a un luogo, che mi è estraneo. È perché quest’oggetto non lo conosco, perché mi manca, che la scrittura si mette in movimento. Ed è quindi un impulso, uno slancio, come se scrivere equivalesse ad « andare all’estero » raggiungere un mondo in cui sarò, all’inizio, straniera. In questo senso induce immediatamente l’idea di movimento.

Il concetto di étranger nel significato di «estraneo» interviene spesso in modo tangibile nel motivo del libro, nell’idea che l’argomento del mio lavoro mi sia estraneo – per esempio, costruire un ponte, o trapiantare un cuore. Scrivo allora per conoscere qualcosa che ancora non so, o che ancora non so di sapere.



Lo «straniero» porta con sé l’idea di frontiera e di riva, è un valore immediatamente politico e una delle figure essenziali dell’alterità.



Ma laddove «straniero» trova la sua eco più forte è nella lingua, nella scrittura. In un certo modo ho la sensazione di tradurre a ogni libro la mia stessa lingua, di andarmi a collocare in una lingua «straniera» - che posso manifestare o inventare come si dà nuova vita a una cosa che giaceva lì, disattivata, come si inventa una scoperta archeologica.





ACQUA

di Melania G. Mazzucco (Italia)




E’ la molecola basica, originaria, della vita. Infatti preferisce il singolare (il suo plurale, le ‘acque’, in italiano evoca quasi sempre situazioni critiche: malattie da curare, difficoltà e disagi, inizio traumatico del parto, territorialità discussa). Ma nello stesso tempo è un composto, presuppone l’aggregazione di elementi diversi (2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno). Siamo fatti d’acqua e ne condividiamo la solitudine sorgiva e il destino sociale.



Forse per questa sua contiguità con la generazione della vita l’acqua è di genere femminile in molte lingue del mondo. Il gioco di parole tuareg “aman-iman” (acqua-vita) sottolinea la sinonimia dei termini.



L’acqua è ugualitaria. Accetta di essere associata a qualsiasi aggettivo: bianca, dolce, dura, cheta, corrente, salata, piovana, potabile, frizzante, ossigenata, benedetta, angelica, santa, ma anche pazza, putrida, marcia, stagnante, nera o morta.

L’acqua è democratica: non ammette differenze tra gli esseri viventi. Li abita tutti.



L’acqua non ha forma ma non può essere fermata.

I proverbi e i modi di dire legati all’acqua di solito rimandano all’accettazione del corso delle cose (per esempio “l’acqua bisogna lasciarla correre verso il basso”, “acqua passata non macina più”, “l’acqua scava la roccia”). L’acqua è associata all’inevitabile, cioè al trascorrere della vita.





VIAGGIO

di Kostas Akrivos (Grecia)




Parola greca, significato che attraversa il tempo, valore universale. Significa la fuga, la migrazione, il commercio, la conoscenza, l’avventura. È nella natura degli esseri umani cambiare luogo, stabilmente o temporaneamente. Anche quando mettono radici per secoli in una regione geografica e fondano ciò che chiamiamo patria, anche allora arriva il momento in cui cercheranno di violarne i confini e di viaggiare. Viandanti, navigatori, aviatori. Talvolta soli, talvolta in compagnia. Per questo motivo hanno ideato e scoperto il mezzo che possa trasportarli altrove: l’automobile. I greci compresero molto presto che la magia della vita si cela nell’Altro.



Per incontrarlo, però, e per conoscerlo, il presupposto essenziale è quello di muovere i propri passi nella sua direzione. Entrare in contatto visivo-fisico con lui. Hanno osato, ci sono riusciti. Se a questo punto si volesse classificare i viaggi, si constaterebbe che appartengono a tre categorie. Quelli geografici, quelli che la memoria intraprende nella storia, e, forse i più difficili, quelli che tentiamo dentro di noi per conoscere la tenebra che ci abita. Vale la pena di cimentarsi in tutti e tre. Il successo dipende dall’audacia e dalla determinazione di ciascuno.
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