Parla del Sudafrica ma racconta il mondo: “La promessa” di Damon Galgut ha vinto il Booker Prize 2021

Parla del Sudafrica ma racconta il mondo: “La promessa” di Damon Galgut ha vinto il Booker Prize 2021
di Francesco Musolino
3 Minuti di Lettura
Venerdì 5 Novembre 2021, 13:25

Nel momento in cui La promessa è stato proclamato il libro vincitore del Booker Prize 2021, il 57enne sudafricano Damon Galgut si è afflosciato sulla poltroncina, prima di sorridere e balzare in piedi. Già finalista nel 2003 e nel 2010 - «Probabilmente la tensione mi avrà rubato qualche anno di vita» - dal palco londinese i giurati lo hanno premiato per il suo «stile narrativo insolito che bilancia l'esuberanza faulkneriana con la precisione nabokoviana, spingendo sui confini, una testimonianza della fioritura del romanzo nel 21° secolo». Proclamato vincitore il 2 novembre, ieri il libro è arrivato nelle librerie italiane, tradotto con cura da Tiziana Lo Porto, pubblicato da Edizioni E/O ma sull’onda della vittoria, è già in ristampa; non solo, la casa editrice romana ha piazzato un altro colpaccio, annunciando la prossima pubblicazione del nuovo Premio Goncourt, vinto dallo scrittore senagalese, il 31enne Mohamed Mbougar Sarr.

Il Booker Prize viene assegnato ogni anno al miglior romanzo scritto in inglese e pubblicato in Gran Bretagna o Irlanda, in pratica, stiamo parlando della quasi totalità della produzione mondiale di narrativa. Montepremi da 58mila euro e ben 158 titoli in gara: concorrenza durissima tanto che per lodare lo stile di Galgut sulle pagine del New York Times (in America è stato pubblicato da Europa Editions, diretta da Michael Reynolds) hanno chiamato in causa Virginia Woolf, James Joyce e William Faulkner. Leggere Galgut significa davvero immergersi in un tempo sospeso e intriso di una violenza passivo aggressiva, per una storia che si annida nelle pieghe più dolorose e pungenti del Sudafrica post-apartheid.

La promessa è una saga familiare, il sipario si alza nel 1985 in Sudafrica, in una fattoria vicino Pretoria. Galgut - il terzo scrittore sudafricano a vincere il Booker, dopo Nadine Gordimer e Coetzee, che ha trionfato due volte – pone al centro della storia la famiglia Swart, sudafricani bianchi che affrontano la scomparsa di Rachel (la madre, colpita da un cancro) mentre il Paese è in preda a disordini politici e i soldati - fra cui Anton, il primogenito - hanno il diritto di sparare per uccidere.

Pallottole contro pietre, l’autorità contro i diritti, chi possiede la terra contro chi dovrebbe averne accesso. Il titolo, allusivo quanto basta accompagnato da quel fulmine che si abbatte sulla terra, fa riferimento alla promessa mancata dell’uguaglianza sociale dopo la fine dell'apartheid e l’incarcerazione di Mandela; al contempo, rimanda al giuramento della madre morente di lasciare una casa a Salomé, l’amorevole inserviente di colore che si è occupata del suo corpo e del suo dolore durante la malattia, protrattasi per sei mesi. Tuttavia, Manie, il vedovo, tradisce la promessa e qui, sul crinale fra ciò che è giusto e ciò è conveniente fare, si spacca la famiglia.

Nell’arco di quattro parti, Galgut sposta l’azione, seguendo le vicissitudini (e i lutti) della famiglia, dal 1985 al 2018 ovvero l’anno in cui finirà la presidenza di Jacob Zuma, chiudendo un ciclo. Galgut usa il discorso indiretto con grande naturalezza, passando dalla terza alla prima persona come fosse un lungo piano-sequenza, tramite il quale l’autore riporta i pensieri e le riflessioni dei suoi personaggi, nessuno escluso: l’ipocrita zia e il padre razzista, l’animo sprezzante di Anton, la vanità di Astrid e Amor, la figlia più giovane, su cui sembra gravare il peso del mondo, l’unica a ricordare la promessa come fosse un memento biblico. Colpisce che Galgut riesca a sovrapporre la violenza nazionale al dolore dei singoli protagonisti ma l’intento finale non è mai quello di elevarsi moralmente sopra il lettore. Cogliendo la rabbia e l’ipocrisia della società, Galgut racconta il mondo, non solo la società africana – ecco la spinta sui confini cui alludevano i giurati del Booker Prize - e pur con le nostre imperfezioni, riesce a farci sentire meno soli sotto questo cielo. Forse, è proprio questa la funzione universale della letteratura.

© RIPRODUZIONE RISERVATA