A Roma uno dei tesori scoperti dalla missione archeologica dell’Ismeo in Sudan

A Roma uno dei tesori scoperti dalla missione archeologica dell’Ismeo in Sudan
di Elena Panarella e Rossella Fabiani
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Sabato 28 Aprile 2018, 12:54
Il servizio archeologico sudanese l’ha descritta come la scoperta archeologica più importante del decennio. E’ quella fatta da un team di archeologici italiani e russi che hanno riportato alla luce un antichissimo basamento in arenaria costruito per una barca sacra con sopra un’iscrizione geroglifica. Il reperto è stato rivenuto nella città di Abu Erteila, a circa 200 chilometri a nord di Khartoum, lungo la sponda orientale del Nilo, a una distanza approssimativa di quattro chilometri dal fiume. E una replica di questo importante ritrovamento è stata di recente donata dall’Ismeo (Associazione internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) all’ambasciata del Sudan a Roma. 

Realizzata dalla wilD’Art di Massimiliano Lipperi, la replica del basamento è stata collocata nella sala del Sudan alla Fao dove rimarrà esposta permanentemente con una cerimonia a cui hanno partecipato, tra gli altri, l’ambasciatrice del Sudan, Amira Gornass, il presidente dell’Ismeo, Adriano Rossi, e il direttore scientifico della missione Ismeo a Abu Erteila, Eugenio Fantusati. Destinato a sostenere una barca sacra o un modellino di altare, il reperto venuto alla luce nel naos del tempio, reca l’incisione di quattro divinità femminili che nella cosmogonia egiziana e meroitica sorreggevano la volta celeste, affiancate da due linee di un’iscrizione in geroglifico egiziano. «Abbiamo individuato i cartigli con i nomi della coppia reale - il re Natakamani e la regina Amanitore - che regnò nel periodo d’oro della civiltà meroitica, tra i secoli I a.C. e I d. C.», ci dice Eugenio Fantusati, condirettore, della missione di scavo italo-russa patrocinata dall’Ismeo e dall’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia delle Scienze russa. 

Le scoperte più rilevanti si concentrano in corrispondenza del naos di un tempio che era dedicato a una divinità che non è stata ancora individuata. E’ qui che sono stati ritrovati un altare rituale in arenaria e il basamento che probabilmente sorreggeva una barca sacra con figure divine e i cartigli con i nomi del re Natakamani e della regina Amanitore. La missione italo-russa lavora dal 2008 al sito nubiano di Abu Erteila sviluppatosi in piena età Meroitica classica (III-I sec. a.C.) nella cosiddetta “isola di Meroe”, all’incrocio tra Nilo, Nilo Azzurro e Atbara. Abu Erteila è molto vicina all’antica capitale, Meroe, che dista infatti soltanto 9 chilometri. «Questo significa, che Abu Erteila durante il periodo meroitico potesse essere parte di un vasto insediamento che si sviluppava a Sud della vecchia capitale». Non solo. Abu Erteila sorge in corrispondenza dello sbocco dello wadi el Hawad, una pista molto importante che, dopo 40 chilometri, conduce alla località di Soba. 

«Qui c’era un santuario ed è verosimile che da Meroe partissero delle processioni e questa strada era presidiata da due centri gemelli: Abu Erteila da una parte e Awlib dall’altra. Abu Erteila e Awlib distano l’uno dall’altro appena 500/600 metri - per questo sono stati definiti dagli egittologi come i siti gemelli - e controllavano di fatto la strada che si spingeva lungo il deserto orientale per arrivare a Soba». 
Quando il team ha iniziato gli scavi ad Abu Erteila, il sito era completamente sconosciuto. Oggi la missione è all’undicesima campagna di scavo e, oltre ad avere ottenuto come riconoscimento del suo lavoro l’inserimento del nome della località sulle mappe geografiche archeologiche, ha riportato alla luce un tempio e un palazzo. «Ma ci aspettiamo a novembre di potere ritrovare una cappella hatorica, ovvero un chiosco come a Naga».

Il re Natakamani e la regina Amanitore furono estremamente attivi in Nubia tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. Contemporanei di Augusto, sotto il loro regno il paese attraversò un periodo di eccezionale benessere interno riuscendo a mantenere, a livello di relazioni diplomatiche, eccellenti rapporti con la Roma imperiale. A questi due sovrani, costruttori instancabili di templi e palazzi, deve essere ricondotta una straordinaria serie di ritrovamenti archeologici e di documentazioni epigrafiche fondamentali per le conoscenze sulla Nubia meroitica. Proprio in seguito al ritrovamento di un altro basamento per barca sacra rinvenuto a Wadi ben Naga nel 1844 e oggi conservato a Berlino, sul quale Natakamani e Amanitore apposero un’iscrizione bilingue con i loro nomi redatti sia in geroglifico egiziano sia in geroglifico meroitico, sono iniziati gli studi per la decifrazione della antica lingua indigena di Meroe. Il basamento che è al museo di Berlino risale all’epoca delle spedizioni di Lepsius. «Ora è interessante avere trovato una nuova dimostrazione della presenza di questi sovrani che hanno regnato circa un trentennio: la vera età dell’oro della Nubia meroitica». 
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