L’obiettivo di Armstrong e compagni è quello di creare un’astronave “vivente”, completamente autosufficiente, sostenibile e indipendente, che possa tenere in vita per diverse generazioni alcune migliaia di persone. Gli ultimi sopravvissuti del nostro pianeta, che avranno la missione di viaggiare oltre il nostro sistema solare per trovare una nuova casa, un nuovo mondo da ricostruire e nuove risorse da sfruttare.
Non solo il global warming sta distruggendo la Terra, avvisano gli scienziati. Ma ci sono altri allarmi da tenere in considerazione. Come il sovraffollamento globale e la progressiva e possibile mancanza di scorte alimentari per sfamare tutti. Come lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, che si stanno esaurendo. E, non ultimo, lo scenario inquietante di una guerra mondiale nucleare, che potrebbe cancellare il mondo come lo conosciamo oggi.
Insomma, una via di fuga, un’arca spaziale per salvare gli umani, potrebbe tornare utile. E così il progetto Persefone (un’iniziativa di Icarus Interstellar, organizzazione non profit dedicata ai viaggi spaziali) si sta concentrando sullo studio di nuovi materiali biotecnologici che possano trasformare l’astronave in una piccola città autosufficiente. Parte integrante della sua struttura saranno materiali organici, come alghe e terra. Grazie all’energia solare sarà in grado di produrre biocarburante e sostentare l’agricoltura e quindi la catena alimentare. In particolare la dottoressa Armstrong, esperta di biotecnologie, si sta concentrando sulla generazione di terriccio artificiale, particolarmente fertile, e di gocce d’acqua che contengano particelle fondamentali per favorire e accelerare la crescita di alimenti. «Stiamo sfidando la nostra nozione di sostenibilità. Che condizioni di sopravvivenza avremmo su un’astronave? Dobbiamo lavorare su questo», ha dichiarato la Armstrong al Times di Londra.
Intanto l’architetto inglese Richard Haymes sta investigando su come creare le infrastrutture sostenibili della navicella spaziale. «Per essere un’entità che basta a se stessa le diverse parti strutturali devono agire come un motore - ha spiegato l’esperto - Saremo capaci di creare facciate che generano il proprio carburante, magari grazie alle alghe? Saremo in grado di usare i rifiuti per produrre metano e riciclare l’acqua? Queste sono le nostre sfide».
Mentre il sociologo Steve Fuller, dell’università di Warwick, anche lui membro del team, ritiene che l’astronave del futuro dovrà trovare il modo di portare in salvo non solo l’uomo ma anche la natura: «Sarà necessario per preservare la civiltà umana, quando la Terra sarà ormai impraticabile», sostiene.
Nelle intenzioni dei suoi creatori Persefone sarà anche un sistema aperto. Potrebbe, per esempio, alimentarsi con il junk spaziale (detriti), con gli asteroidi e perfino con lo spettro elettromagnetico. In modo da eliminare il rischio di un blackout energetico che, se prolungato, ucciderebbe tutti i passeggeri.
Ai dubbi e alle critiche di qualcuno (ma tutto questo è davvero fondamentale? Non si potrebbero usare tempo e denaro in altri modi?) il team di scienziati risponde che studiare Persefone è un esercizio quanto mai utile anche per il presente, per la nostra architettura urbana e per le sfide che presentano, in termini di vivibilità, le grandi metropoli come New York, San Paolo, Pechino. Immaginate dei grattacieli che producano energia, cibo e acqua. Che interagiscano con l’ambiente esterno, per una volta purificandolo invece che inquinandolo. Sarebbe il sogno degli ecologisti di città. Che potrebbe diventare realtà grazie all’arca interstellare.
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