Lockdown, protesta dei sanitari: «Siamo già esausti». Domani sciopero contro la cattiva gestione della seconda ondata

Lockdown, protesta dei sanitari: «Siamo già esausti». Domani sciopero contro la cattiva gestione della seconda ondata
di Cristiana Mangani
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Domenica 1 Novembre 2020, 08:41 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 15:15

È tempo di rabbia e di solidarietà, di promesse mancate e di dedizione al lavoro. Medici e infermieri continuano a essere in prima linea, ma la seconda ondata, sebbene con indici di mortalità minori, sembra ancora più travolgente. «Avevamo qualche vantaggio dopo il primo lockdown - spiega il dottor Carlo Palermo, segretario nazionale dell'Anaao - e ora rischiamo di perderlo. La situazione negli ospedali si fa ogni giorno più grave e molti medici, come ortopedici o chirurghi, si ritrovano a curare casi di Covid. Abbiamo inviato una diffida ai direttori generali - aggiunge -, perché non tutte le assicurazioni coprono eventuali risarcimenti se a occuparsi di un paziente è un medico che ha una specializzazione diversa e non specifica. Abbiamo reparti intasati e scarso personale».
Stessa cosa per gli infermieri. Una rappresentanza del sindacato Nursing up ha deciso di scioperare per 24 ore a partire da domani alle ore 7. «Nel pieno della riesplosione dell'emergenza Covid - scrive Antonio De Palma, presidente nazionale -, di fronte alla palese cattiva gestione di quella che poteva essere una seconda fase, se non indolore, certamente dai contorni non drammatici come quella che stiamo vivendo in questi ultimi giorni, abbiamo deciso di incrociare le braccia. Nella categoria non tutti sono d'accordo a scioperare, vista la criticità del momento. Anche se in molti lamentano rischi per la salute e per la sicurezza.

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I DANNEGGIAMENTI
È di qualche giorno fa la notizia di un vero e proprio assalto alle auto di medici e paramedici parcheggiate fuori dall'ospedale di Rimini.

Settanta macchine danneggiate: finestrini rotti, specchietti fatti saltare, carrozzeria rigata. «Non è certo il lavoro di un ubriaco o di qualche teppistello, è un attacco mirato contro i sanitari - ha commentato Andrea Boccanera, responsabile della sicurezza dei lavoratori dell'Ausl di Rimini - Accanto alle auto dei dipendenti, a pochissimi metri, ce ne erano altre e non sono state toccate. Chi ha colpito, lo ha fatto scientificamente e mirava solo a danneggiare le vetture del personale sanitario». I carrozzieri della zona si sono offerti di ripararle gratis.

Ho attaccato il virus ai miei 3 figli

Claudia è costretta in isolamento: ha preso il Covid in reparto, da una paziente asintomatica. È tornata a casa, ha tenuto la mascherina, ma non è bastato. «L’ho passato ai miei tre figli - racconta - e poi anche ai miei genitori anziani che abitano al piano di sotto». Il suo ospedale è di quelli totalmente dedicato alla cura del virus, ma non sempre il personale, a cominciare dagli infermieri come lei, ha a disposizione tutti i dispositivi di protezione e tamponi per accertare se qualcuno tra il personale si è infettato. «Nella prima fase dell’epidemia siamo stati chiamati eroi - dichiara - Ma noi non siamo eroi, chi sceglie questo tipo di lavoro lo fa per passione, anche se ti ritrovi senza avere più una vita. Sei fuori da tutto. Da eroi a untori è un attimo», dice sorridendo. «Ho preso il Covid - continua - perché il tampone rapido fatto alla paziente è arrivato con due ore di ritardo e, noi, nel frattempo, stavamo lì a lavorare e ad assisterla. La situazione non è bella, ma si pensa solo al bene del malato, e se lo vedi soffrire, non ti sottrai perché stai male anche tu». Quando il contagio ha toccato anche i suoi genitori, Claudia si è molto preoccupata: il padre è cardiopatico. «Abbiamo dovuto fare tutto da soli - spega -. E allora, ho deciso di curare mio padre come da protocollo, gli ho dato cortisone e gli altri farmaci previsti. Ora sta meglio, anche se non è ancora fuori del tutto. Voglio dirlo: oggi è peggio di marzo, paghiamo il conto degli apericena che impazzavano nei mesi estivi».

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Il primario e lo sconforto

C’è un bellissimo messaggio che Francesco Sabetta (foto), Direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina del policlinico Casilino, custodisce gelosamente: è quello di una giovane donna che è tornata a casa guarita e che lo ringrazia per quanto, lui e i medici del suo reparto, hanno fatto per curarla.

Ma non sempre il clima che si respira davanti all’emergenza che stiamo vivendo, è disteso, vero dottore?

«Mi affidi i tuoi cari e io faccio di tutto per curarli, c’è chi ringrazia e chi protesta. Ma anche se ogni tanto può prenderti lo sconforto, nessuno di noi dimentica il giuramento di Ippocrate. E quindi, testa bassa e si lavora senza tregua».

Però fuori c’è chi protesta perché deve indossare una mascherina.

«L’altro giorno stavo fermo al semaforo con la moto. Mi è passata accanto una signora con la mascherina abbassata perché stava fumando. L’odore della sua sigaretta mi è arrivato chiaramente. E allora: ci vuole tanto a capire che se è arrivato l’odore è arrivato anche il respiro?».

Nel frattempo gli ospedali sono sempre più in sovraccarico.

«La diagnosi ora è più precoce ed è per questo che serve un maggior numero di posti letto. Martedì prossimo attiveremo altri 36 posti. Il problema è che ormai ogni 10-12 tamponi che vengono effettuati da noi, uno è positivo. Riusciremo a evitare il peggio solo rispettando severamente le regole».

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La dottoressa: «Dovevano assumere invece...»

La storia si ripete: «Avevo preso le ferie a ottobre - dice Francesca S., dottoressa in un grande ospedale di Milano - perché nei mesi scorsi non avevo potuto farle. Quattro giorni ad agosto. Le avevo ora. E invece, non se ne parla. Si ricomincia come prima». La diffusione del virus è sempre più elevata, e la Lombardia è una delle regioni più colpite. «Noi siamo in prima linea, non faremo a scaricabarile - chiarisce la rianimatrice - Affronteremo con la stessa dedizione di sempre, ma devo dirlo rivedere gli stanzoni pieni, i malati proni, dei quali non riesci neanche a vedere il viso, mi ha messo una certa angoscia». Vedere le persone che si assembrano, che si tolgono la mascherina, non le va proprio giù: «Mi sembra di essere tornata a marzo. Devo dire che ogni tanto mi chiedo se tutta questa dedizione sia dovuta. Ma si va avanti perché è il nostro lavoro. Io ormai non parlo di altro da mesi, non ho più una vita. E poi ci sono quelli che ti vengono a dire che “in fondo a te che te ne frega, quando esci dall’ospedale te ne puoi dimenticare”. Io le immagini che mi si stanno ripresentando davanti speravo proprio di non doverle più vedere. E invece, eccoci qua di nuovo. Parole critiche vengono riservate anche a chi doveva provvedere a organizzare un piano di contrasto e non l’ha fatto. «Dovevano creare nuovi posti letto - aggiunge la dottoressa - Assumere medici e infermieri. La verità è che chi sta seduto dietro a una scrivania, non è mai entrato in un ospedale».

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Il sindacalista: siamo allo sbaraglio

Cinque mesi di tempo per preparare un piano che non è arrivato. Stefano Barone, infermiere all’ospedale San Camillo, è anche segretario provinciale di Roma del Nursind, il sindacato di categoria: a lui arrivano ogni giorno i malumori dei colleghi.

Signor Barone, in che condizioni lavorate?

«Voglio fare una premessa: sono assolutamente contrario allo sciopero che è stato annunciato, perché ora non è il momento di incrociare le braccia. Ora bisogna tirare dritto per contrastare questa epidemia. Poi, si ragionerà».

Che aria si respira nei pronto soccorso?

«La gente sta ammassata, e questo genera rabbia. Rischiamo ogni giorno sulla nostra pelle, perché il piano promesso non è stato attuato. Eppure abbiamo chiesto soprattutto che ci venga garantita la sicurezza. I dispositivi di protezione scarseggiano, i tamponi pure. Molti continuano a lavorare mentre sono ancora in attesa di sapere se sono positivi o meno. E questo perché non c’è personale sufficiente».

Che differenza c’è tra la prima e la seconda ondata?

«La prima ondata non ha travolto il Lazio, perché quando i contagi hanno cominciato a crescere c’è stato subito il lockdown. Poi è arrivata l’estate e ci si è dimenticati del Covid. Il premier Conte ci aveva promesso: non vi dimenticheremo. In cinque mesi nulla è stato fatto, con questi numeri non potremo farcela». 

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