Elena Cattaneo: «Solo grazie a Telethon possiamo combattere anche le malattie rare»

La scienziata e senatrice a vita: «In Italia il sistema della ricerca resta inadeguato». «Con il nostro progetto vogliamo capire la cause della patologia di Huntington»

Elena Cattaneo: «Solo grazie a Telethon possiamo combattere anche le malattie rare»
di Graziella Melina
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Giovedì 19 Ottobre 2023, 00:19

La ricerca va ancora avanti grazie alla fondazione Telethon: 4 milioni 369 mila euro, raccolti dalle donazioni, permetteranno la realizzazione di 24 progetti ad altrettanti ricercatori su tutto il territorio nazionale. Gli scienziati potranno così studiare i meccanismi di diverse malattie genetiche e i potenziali approcci terapeutici. Tra i progetti vincitori - che riguardano tra l’altro patologie note come la beta talassemia, la malattia di Kennedy, la Sma, la distrofia muscolare di Duchenne, la fibrosi cistica, e altre meno conosciute come la malattia di Niemann-Pick, la sindrome di Dravet, e la discheratosi congenita – è stato selezionato anche lo studio sulla malattia di Huntington, una patologia rara neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, presentato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, professore ordinario di farmacologia dell’Università degli Studi di Milano.

Elena Cattaneo


Qual è l’obiettivo della ricerca finanziata da Telethon? 
«Il progetto si focalizza sulla mutazione nel gene che causa la malattia di Huntington. Si tratta di una serie di lettere CAG CAG CAG… che, ripetute una dopo l’altra, esattamente in questo ordine, più di 36 volte, provocano la malattia (il gene sano contiene fino a 35 ripetizioni). Vogliamo capire quale sia il meccanismo che porta all’aumento di questo numero, che rende cioè “instabile” questa sequenza. Il progetto segna anche l’inizio di una nuova importante collaborazione con il laboratorio di Ylli Doksani, dell’Ifom di Milano. Capito il meccanismo possiamo lavorare sulla possibilità di una sua contrazione. Questo progetto arriva 27 anni dopo il nostro primo bando Telethon vinto. Era il 1996. Dieci sono state le proposte da noi sottomesse da allora, tre bocciate, sette approvate. Come credo per tanti progetti e gruppi italiani, Telethon è stato fondamentale per l’avvio e la continuazione delle nostre ricerche sulla malattia di Huntington. Non solo. Le sue procedure competitive e di valutazione, sempre rigorose e approfondite, sono un plus per la ricerca italiana e dovrebbero essere un modello da adottare nell’assegnazione delle risorse pubbliche».

 
Come ci siete arrivati? 
«La malattia di Huntington è da sempre al centro delle nostre ricerche.

Da trent’anni la studiamo sia per esplorare ogni possibile strada terapeutica, sia per conoscere il gene che la causa e capire quali funzioni abbia nell’organismo. Tutto iniziò nel 1990, al Mit di Boston, dall’incontro con la carismatica Nancy Wexler, una scienziata statunitense la cui famiglia era stata duramente colpita dalla malattia. Quando tornai in Italia decisi di dedicarmi a questa malattia neurodegenerativa genetica “di nicchia”, non studiata, che porta un carico di responsabilità e sofferenza molto elevato per le famiglie, come d’altronde tutte le malattie genetiche».

 
Se l’ipotesi della vostra ricerca sarà dimostrata, entro quanto tempo si potrebbe ipotizzare di avere a disposizione farmaci per la malattia di Huntington? 
«A priori non possiamo saperlo. Possiamo garantire però, da studiosi, l’assiduità e la dedizione totale nel lavoro, nei tempi, negli esperimenti. E non è poco». 


Quanto agli investimenti sulla ricerca in Italia, a che punto siamo? 
«La ricerca non ha mai avuto una attenzione costante dalla politica. Per anni ci sono stati finanziamenti a singhiozzo, insufficienti o distribuiti con metodi arbitrari che non seguivano il metodo competitivo della scienza, lasciando che idee e competenze fossero ignorate e lasciate senza sbocchi né opportunità. La pandemia ha reso tutti più consapevoli dell’importanza della ricerca. Con il Pnrr bandi e risorse si sono moltiplicati, anche se ad oggi sono limitati al 2026. Inoltre, credo che il sistema si debba meglio attrezzare per gestire i propri fondi. Le risorse da sole non bastano: servono processi, regole e visione del lungo periodo». 


Quali sono le maggiori difficoltà dei ricercatori? 
«Il sistema nel complesso è ancora inadeguato. Lo vediamo ad esempio nelle procedure di valutazione dei bandi pubblici: arrivano anche dopo un anno dalla sottomissione dei progetti, le valutazioni sono fragili nei contenuti, spesso limitandosi a due righe o parole per promuovere o bocciare un’idea. La valutazione Telethon al nostro progetto attuale si estende su 7 pagine. Anche in caso di bocciatura di un progetto, valutazioni costruttive e dettagliate sono di immenso valore per reimpostarlo. La ricerca scientifica nel nostro Paese è ancora di grande livello. Dobbiamo prendercene cura perché da essa dipende il benessere collettivo e il futuro dei nostri giovani studiosi». 
 

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