Tumore al seno, per alcune donne con il triplo negativo (ad alta mortalità tra le giovani) potrebbe non essere più necessaria la chemioterapia

Lo studio internazionale pubblicato sul Journal of the American Medical Association. Serviranno comunque altri studi per verificare questa ipotesi

Tumore al seno, per alcune donne con il triplo negativo (ad alta mortalità tra le giovani) potrebbe non essere più necessaria la chemioterapia
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Martedì 2 Aprile 2024, 19:26

Alcune pazienti con tumore al seno triplo negativo potrebbero, in un prossimo futuro, evitare la chemioterapia. Uno studio internazionale pubblicato sul Journal of the American Medical Association (Jama) ha mostrato, infatti, che le pazienti operate per una neoplasia in fase precoce e il cui tumore è ricco di cellule immunitarie accorse per combattere la malattia hanno un basso rischio di recidiva e una migliore sopravvivenza. È possibile dunque che per loro sia sufficiente un regime terapeutico meno aggressivo. Serviranno comunque altri studi per verificarlo.

Il tumore al seno triplo negativo

Il tumore al seno triplo negativo rappresenta circa il 15-20% dei tumori mammari: deve il suo nome al fatto che sulle sue cellule non è presente nessuno dei tre bersagli molecolari contro i quali esistono trattamenti mirati e ciò lo rende più difficile da colpire.

Inoltre, tende frequentemente a dare recidive, ha una mortalità più alta ed è più comune nelle donne giovani. «Per questi motivi, la chemioterapia - adiuvante o neoadiuvante - è raccomandata per la maggior parte delle pazienti con tumore al seno triplo negativo in stadio iniziale», spiegano i ricercatori.

La ricerca

Lo studio ha analizzato i dati di quasi 2.000 donne, che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno triplo negativo, in cura in 13 centri in Usa, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Giappone e Corea. I ricercatori hanno osservato che quanto più alta era la presenza di linfociti infiltranti il tumore”, tanto migliore era la prognosi per le pazienti. In particolare, le donne con i livelli più alti di linfociti avevano una sopravvivenza a 5 anni superiore al 90% rispetto al 72% di quelle con livelli più bassi. Più alte anche le chance di non avere recidive. «Questa è una scoperta importante», commenta il primo firmatario dello studio, Roberto A. Leon-Ferre. «I risultati dello studio possono ispirare futuri studi clinici per esplorare se le pazienti con una prognosi favorevole possono evitare regimi di chemioterapia intensiva».

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