Viaggio nel Municipio VII: Romanità e integrazione un egiziano cura l'Alberone

Viaggio nel Municipio VII: Romanità e integrazione un egiziano cura l'Alberone
di Lorenzo De Cicco
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Domenica 2 Aprile 2017, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 07:56
A prendersi cura dell'Alberone - ormai «one», con sprezzo del ridicolo, solo per la toponomastica - è un ragazzo egiziano di 33 anni. Si chiama Sameh Ibrahim, è nato al Cairo, ed è arrivato a Roma nel 2009. Da sei mesi ha rilevato il chiosco di fiori accanto all'erede low cost della quercia secolare che un tempo sovrastava la piazza, tanto da darle il nome (così come a tutto al quartiere), rimpiazzata nell'86 da un leccio gigante e poi ancora surrogata due volte in due anni, l'ultima nel novembre 2015. Col risultato che l'esemplare attuale, macilento e floscio, quasi sparisce dietro al gabbiotto dell'edicola.

Un alberello deperito a cui il soprannome da grandeur conferisce un effetto comico involontario e, sicuramente, poco rispettoso per la gloria che fu. «Ormai me ne occupo solo io - rivela Sameh - lo innaffio e lo addobbo sempre, a Natale, a San Valentino, per l'otto marzo. Ma la gente quasi non se ne accorge». E di storie così, nel VII municipio, ce ne sono a iosa. E raccontano spesso di un territorio dove l'anima romana e romanesca da tempo sperimenta l'integrazione. Come un test di convivenza che qui è riuscito meglio che altrove.

Nel municipio più abitato di Roma (307mila residenti, come Catania), che è allo stesso tempo uno dei più piccoli distretti della Capitale. Popolatissimo, trafficatissimo, più che una città nella città, un agglomerato di quartieri che, cercando pure uno sguardo d'insieme, sembra difficile tenere accostati. I ristoranti chic di San Giovanni e i palazzoni del Mandrione, il parco dell'Appia antica e le ex fabbriche di materiali elettrici, la biblioteca dedicata a Nelson Mandela e la Romanina con le ville dei Casamonica, fino all'aeroporto di Ciampino. Tutto, o quasi, facendo slalom tra le buche dell'Appia, «regina delle lunghe strade» secondo gli antichi. O viaggiando sulla metro A, che proprio in questo quadrante, a Osteria del Curato, ha il suo deposito dagli anni 60 - altra epoca, altra Roma - dove oggi i macchinisti timbrano l'odiatissimo badge aziendale, mentre le scolaresche in gita vedono sfrecciare dei trenini in scala su un plastico con 350 metri di binari.

L'anima multietnica del VII la puoi trovare un po' ovunque, perfino nel vecchio mercato di via Sannio - regno dell'usato, dove è stata paparazzata anche una fashion icon come Sarah Jessica Parker - ormai la metà dei banchi è in mano a stranieri, come spiega Giancarlo Giusti, 64 anni, presidente dell'associazione dei commercianti. «Ma gli affari sono crollati. In teoria ci sarebbero 230 postazioni, ma venti titolari hanno già riconsegnato la licenza. E pensare che un tempo il permesso si vendeva a 20-30mila euro, ma oggi la gente preferisce rinunciarci. La verità è che dal 57 in poi non è stato fatto nulla, solo la luce ci hanno messo, quando c'era Alemanno. Ora abbiamo votato quasi tutti la Raggi, speriamo che si ricordi».

Setacciando le strade di San Giovanni alla ricerca della romanità perduta (magari solo dispersa), ecco via Vetulonia, «Piazza Francesco Totti, Re di Roma», come si legge in un'insegna, perché qui il Capitano è nato e cresciuto. E poi ancora il murales gigante in via Apulia (con tanto di aggiunta: «Vecchio a chi?», dopo le 40 candeline del pupone), proprio accanto allo storico Campo Roma dove si allena la Romulea, una delle più antiche squadre di calcio della Capitale (giallorossa già nel 1921) e che oggi arruola 400 tesserati, «dai 5 anni ai 19 anni», spiega il direttore generale Nicola Vilella.

Qui, Totti, capita di vederlo anche a bordo campo, come tre giorni fa, quando il figlio Cristian ha giocato in amichevole. E, a proposito di gioco, ci si può spostare in un altro agone della romanità vintage: l'Ippodromo di Capannelle, dove però la febbre da cavallo contagia ormai solo un manipolo di superstiti. Un sabato pomeriggio qualunque, nelle tribunette un tempo affollate, a seguire i cavalli al trotto si ritrovano in dieci-quindici. «Ci hanno rovinato le scommesse virtuali, i veri appassionati sono rimasti in pochi e ci conosciamo tutti», sospira Mauro Olivieri, 60 anni, impiegato dell'Atac, giornale con le scommesse arrotolato sotto al braccio.

DALLA SEZIONE EX PCI AL M5S
Ma la traccia di un cambio d'epoca, tornando all'Alberone, la trovi anche a cento metri dal chiosco di Sameh, davanti al cinema Maestoso con la grande insegna in verticale, dove c'è la storica sezione del Pci, oggi ereditata dal Partito democratico. «Negli anni 70 eravamo 800 iscritti, a questo congresso siamo 190, ma le cose vanno meglio: l'anno scorso eravamo 95», racconta Antonio, 76 anni, memoria storica del circolo, il «compagno Z», lo chiamano tutti. «Questo posto nel Dopoguerra ha ospitato il Comitato delle forze partigiane, poi c'è stata la sede romana della Fgci, dei giovani comunisti insomma, poi è diventata una sezione di partito».

Fino al Pd. All'ultimo congresso, che si è celebrato proprio ieri, ha stravinto Renzi: 134 voti contro i 52 di Orlando e i 5 di Emiliano. Una vittoria che prova a scacciare l'ombra del consenso popolare perduto, di quel 65-35% con cui il M5S si è imposto alle ultime elezioni amministrative, regalando la fascia da minisindaco a Monica Lozzi (nel suo curriculum ci teneva a far sapere: «Ho 15 cani e 10 gatti»). «Quando c'era il Pci - continua il compagno Antonio - qui si iscrivevano soprattutto gli operai: del Poligrafico, della Fatme, della Montecatini. Oggi sono quasi tutti pensionati, studenti o impiegati. E non solo perché le fabbriche sono rimaste poche».
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