Si nascondevano nell'armadio per controllarla e le chiedevano di tenere il telefono in vivavoce durante il rapporto con i clienti. Così, una 15enne era costretta, da due sorelle amiche della sua famiglia, a prostituirsi. L'avevano condotta in Italia dalla Romania, nel 2016, per fare la babysitter e guadagnare soldi da mandare ai genitori, ma una volta in Italia ha avuto inizio l'incubo. La minore da gennaio a maggio del 2016 avrebbe incontrato circa 450 uomini adescati da una delle maitresse su una bacheca online: a processo sono finiti nove clienti che, ieri, sono stati assolti per mancanza di prove mentre le due donne, ora di 35 e 30anni, sono state condannate dalla quinta sezione collegiale del Tribunale di Roma a 7 e 6 anni di reclusione con l'accusa di prostituzione minorile.
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L'INGANNO
IL BLITZ
A scoprire l'attività di prostituzione gli agenti del commissariato di Tor Pignattara che si imbattono nelle immagini online della minore. Il 6 maggio del 2016 si appostano sotto l'abitazione e contattano la donna fingendosi clienti e fissando un incontro sessuale con la minore. Una volta entrati nell'appartamento, gli agenti trovano profilattici e intimo nascosti nell'armadio. Al momento del blitz c'erano le due sorelle (ora condannate), la figlia di 5 anni di una di loro e persino la mamma della vittima, venuta a trovare la figlia, all'oscuro del fatto che facesse la baby prostituta invece che la baby sitter.
Ieri, dopo che le due donne accusate di prostituzione minorile sono state condannate a 7 e 6 anni di reclusione, l'avvocato Massimo Titi, che le difende, ha commentato così: «È una sentenza assurda perché non c'è stato nessuno sfruttamento e nessun inganno, come emerso dall'istruttoria dibattimentale e dall'esame della persona offesa. La minore non è mai stata costretta a prostituirsi, è venuta sapendo quello che avrebbe dovuto fare, doveva aiutare la famiglia».
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