Quei cantautori e la nascita dei nuovi inni

di Mario Ajello
1 Minuto di Lettura
Sabato 9 Maggio 2015, 23:31 - Ultimo aggiornamento: 23:54
«I ragazzi del Tortuga.

Ammazza che bella

canzone di Venditti»


@PeterBirro



In quel bar, davanti al Giulio Cesare, «Nietzsche e Marx si davano la mano», come canta Antonello. Ma anche «Roma Capoccia», naturalmente, è un motivo bellissimo. E «Roma, Roma»? Così così, ma gli inni di solito devono eccitare più che piacere. Comunque questa città è uno scrigno di belle canzoni - con i romani che hanno fatto la storia del pop si potrebbero scrivere interi romanzi - da sempre e adesso perfino più di prima. I testi di Mannarino hanno un che di caravaggesco. Il progetto «Rome» di Modest Mouse con tra gli altri Norah Jones e Jack White è un po' fighetto e da «Rome&You» (nuovo logo itanglese che tanto ha fatto discutere e che sostituisce quello di Roma Capitale) ma vabbè, cerchiamo di andare avanti.



E i Cani che cantano «Corso Trieste»? «É quasi buio, soltanto luci verdi....». E gli Ardecore con il loro blues di borgata che parla la lingua di Petrolini? Ma Piotta (il suo Supercafone resta un piccolo grande inno di fine anni novanta) , ora, s'è inventato - insieme al Muro del pianto - «I 7 vizi Capitale», uno dei motivi più forti mai sentiti su questa città: «Nuda come Roma, grande come la bellezza / 'na madre premurosa che te mena e t'accarezza».

E nel ritmo c'è qualcosa d'inquietante e insieme di avvolgente. Come le notti nella Roma più sperduta - dal Centro alle periferie - che resta bella nella sua bruttezza.



mario.ajello@ilmessaggero.it