«Ho guardato bene ancorabuna volta le lapidi dei ragazzi, Thomas, Frank, Norman, John... Erano tutti giovani, non ci sono più ma parlano benissimo ai giovani vivi di oggi: non è un cimitero di vecchi quello e dice una cosa semplice: “La libertà è tutto e non sai quanto è importante finché della libertà non ti manca l’aria. Loro sono morti per questo e io, che ero un pacifista, ero pronto a morire con loro». Il soldato Harry Shindler, cento anni, dei Royal Fusiliers di Londra, è tornatoda due giorni a casa - Porto d’Ascoli, nelle Marche - è sta benone, arzillo come un ragazzino, contento di aver fatto il suo dovere come ogni anno al Beach Head War Cemetery di Anzio prendendo parte alle celebrazioni oer il 78° anniversario dello Sbarco degli angloamericani nel 1944. Shindler, che sposò un’italiana, è l’ultimo sopravvissuto della cosiddetta Operazione Shingle “Gatto Selvaggio («Cos’ero io? Un soldato semplice, molto semplice...») e lo spirito resta d’acciaio: «Ho solo cento anni - scherza e ridacchia - Non so proprio quello che farò quando sarò vecchio».
Anzio, riaffiora da terra una tessera: un soldato Ryan sbarcato nel 1944
Il racconto
Al cimitero del Commonwealth, un posto pieno di “luce” nonostante dica della guerra e della morte, sono sepolti 2.316 soldati. Shindler, figlio di una casalinga e di un commesso («Sono di Kensigton, a Londra, ma la mia era la parte povera del quartiere, non Knightsbridge») poteva essere uno di loro. «Farò sempre tutto affinché le nuove generazioni capiscano - dice il signor Harry - Quei ragazzi avevano venti, ventuno, ventisette anni. Non ci sono più: giovani morti che possono spiegare molto ai giovani vivi di oggi. Vadano lì, i ragazzi. È, in qualche modo, un bel posto, che fa capire. Ero pure io contro la guerra. Ma quando i tedeschi arrivarono in Francia erano come fuori dalla porta di casa mia, l’Inghilterra. Tra noi e loro restava solo il mare della Manica. Winston Churchill, il nostro primo ministro, disse: “We shall never surrender”, non ci arrenderemo mai. Quindi sono dovuto andare, costasse quel che costasse». Nei feroci combattimenti caddero anche migliaia di giovani tedeschi, ora sepolti in uno sterminati cimitero a Pomezia.
Mr.
«Ma c’è un’altra cosa che non mi stancherò mai di ripetere - insiste Shindler - A Roma ci potevamo arrivare molto tempo prima e perdendo molti meno uomini. Ma eravamo inchiodati lì, sotto il fuoco dei tedeschi, perché il generale americano Mark Clark non voleva fino in fondo che avanzassimo in fretta perché sognava di essere lui, proveniente da sud dopo lo sbarco a Salerno, il “conquistatore” di Roma, il primo a entrarci, cosa che avvenne il 6 giugno del 1944, quasi cinque mesi dopo lo sbarco. Ebbe scontri durissimi con i nostri comandi ma non ci fu verso di smuoverlo. La guerra è anche questo. Un soldato partì addirittura con una jeep da Anzio verso la Città Eterna e riportò indietro un cartello stradale agli ufficiali con una scritta: “Roma”. La prova che la strada era libera. Ma niente: dovevamo restare lì e la cosa costò vite, migliaia di vite».
Thomas, Frank, Norman, Jack e gli altri riposano, tutti, sotto l’erba meravigliosamente verde del cimitero. Le parole sulle lapidi parlano, senza retorica, di chi li ha perduti: «Beloved son» (Amatissimo figlio), «Faithful husband» (Marito fedele), «Brave man» (Soldato coraggioso), reggimenti Scots Dragons, Shropshire Light Infantry, Gordon Highlanders, solo per citarne alcuni. Shindler, un tecnico-ingegnere, arrivò dal mare con la Royal Electrical Mechanical Engineers, un battaglione di tecnici, per occuparsi della manutenzione dei cannoni anticarro opposti ai panzer del generale Kesselring, comandante tedesco in Italia. Era l’alba di settantotto anni fa e il Mar Tirreno era pieno di navi arrivate silenziosamente nella notte. Il signor Harry ieri guardava l’Adriatico ed era “canterino”. «Ho risalito l’Italia combattendo fino a Opicina a Trieste. Gli italiani sono brava gente e devono saperlo, ricordando, come tutti noi, che dobbiamo trattarci sempre umanamente: siamo uomini».