«Ridateci i soldi». Ma i soldi ora non ci sono più. Nelle casse dell’Ipa, l’istituto di previdenza dei 23mila dipendenti comunali di Roma, dopo anni di bonus gonfiati, di prestiti di favore concessi a impiegati già ultra indebitati che poi non hanno restituito un euro, dopo i viaggi all’estero per i figli dei top manager pagati dall’istituto, non è rimasto un centesimo. Anzi, c’è un buco da 51 milioni di euro che ha spinto l’ex commissario Fabio Serini, poche settimane fa, prima di essere revocato da Gualtieri, a scrivere alla Procura di Roma che «lo stato di insolvenza è altamente probabile». Lo spettro del crac ora spinge migliaia di impiegati - gente per bene che ha versato i contributi per anni con la promessa di una pensione integrativa - a chiedere indietro le quote. Per salvare il salvabile. Anche se forse è troppo tardi.
Ipa di Roma, lo scandalo: prestiti "autorizzati" da giardinieri e bidelli
BOOM DI PRATICHE
Via Francesco Negri, alla Garbatella, il quartiere del barocchetto e dei Cesaroni: al primo piano di una palazzina a tinte chiare c’è la sede centrale dell’Ipa.
Il banco sta saltando. Un banco sfruttato per anni come una cassa senza fondo, dai sindacati in primis. Prima del commissariamento, l’ultimo risale al maggio del 2017, il Cda veniva eletto dai dipendenti su liste sindacali. Insomma, come ha ammesso l’ex capo dell’area credito dell’Ipa in un’intervista a questo giornale, i dipendenti sceglievano un Cda che poi autorizzava i prestiti a tutti, anche agli ultra indebitati. L’addetto dello sportello sembra in vena di confessioni. Spiega la logica del “sistema Ipa”: «La cosa dei prestiti funzionava così: io ero un sindacalista con 10, 100, 500 iscritti a cui faccio i favori e riuscivo a fargli fare questa cosa qua». Cioè il mutuo, anche a gente già protestata quattro o cinque volte, che poi non rimborsava un euro.
«Il telefono squilla senza sosta da giorni, sono tutti dipendenti che chiedono che fare, se devono cancellarsi», racconta Mauro Cordova, il presidente dell’Arvu, l’associazione romana dei vigili urbani, 4.800 iscritti. «Ma l’Ipa non può fallire, è un ente troppo importante, anche se alcuni sindacati l’hanno sfruttato nel modo che ora stiamo vedendo. Il sindaco Gualtieri salvi i 23mila dipendenti che tutti i mesi versano una quota importante del proprio stipendio e che non possono vedere svaniti sacrifici di anni».
Gualtieri ha affidato la missione di salvataggio a Fabio Borgognoni, un avvocato esperto di diritto del lavoro e di previdenza. È il nuovo commissario. Le strade sono due: o l’Ipa fallisce, e saltano le pensioni, oppure il Comune deve sborsare 51 milioni di euro per ripianare la voragine finanziaria. Soldi di tutti i contribuenti romani. Sullo scandalo dell’Ipa interviene anche l’ex sindaca Virginia Raggi: «L’ex commissario Serini ha fatto un gran lavoro, quando l’ho nominato ho chiesto di verificare alcune anomalie sui prestiti, ma era solo la punta dell’iceberg». Ora però, dice la grillina, «non è giusto che il conto lo paghino tutti i cittadini romani, con una ripatrimonializzazione di 51 milioni per saldare le vacanze all’estero dei figli dei dirigenti e i mutui di favore». Prima di lasciare il Campidoglio, dice Raggi, «avevo presentato un piano di risanamento spalmato su 7 anni». Prevedeva azioni di recupero crediti finalmente severe e la dismissione del polo sanitario dell’istituto, dalle cure dentistiche al resto, tutto ciò che non è nel core business di un ente comunale. «C’è ancora una possibilità di salvare l’istituto e i contributi dei dipendenti capitolini ignari - conclude l’ex sindaca - Ma non con i soldi di tutti i romani».
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