«Tuo marito lo scelgo io», padre padrone a giudizio. Le figlie obbligate a indossare il velo

Una vicenda che ricorda quella di Saman Abbas, la diciottenne pakistana uccisa a Novellara, secondo gli inquirenti, dai componenti della sua famiglia

«Tuo marito lo scelgo io», padre padrone a giudizio. Le figlie obbligate a indossare il velo
di Michela Allegri
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Giovedì 6 Luglio 2023, 06:42

Per anni sono state costrette a vivere in una casa che si era trasformata in prigione: regole rigide da rispettare, come quella di non potere avere amici italiani e, soprattutto, fidanzati che non fossero stati scelti dai genitori. Dovevano indossare il velo ogni volta che uscivano e, soprattutto, il padre e la madre, iracheni, pretendevano di decidere al posto delle loro figlie chi avrebbero dovuto sposare. Ora sono finiti entrambi a processo con l'accusa di maltrattamenti in famiglia: il pm Antonio Verdi ha chiesto e ottenuto il processo con rito immediato. Una decisione presa nonostante le due figlie abbiano ritirato la querela nei confronti dei genitori: secondo chi indaga, questa decisione sarebbe il frutto di pesanti pressioni.

I FATTI

D'altronde, per più di un anno, le giovani, di 26 e di 27 anni, sono state allontanate dalla famiglia e il giudice ha disposto che venissero collocate in una comunità protetta. Nei mesi scorsi hanno ribadito le accuse nei confronti dei genitori, in particolare del padre, nel corso di un incidente probatorio. Hanno descritto gli insulti, le minacce, le vessazioni. Una vicenda che ricorda quella di Saman Abbas, la diciottenne pakistana uccisa a Novellara, secondo gli inquirenti, dai componenti della sua famiglia.

La colpa della ragazzina era quella di non volere seguire le regole imposte dai genitori: non voleva indossare il velo, voleva vivere all'occidentale, aveva un fidanzato che il padre e la madre non avevano scelto per lei.

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In questo caso non ci sono state violenze, né lesioni. Ma le vessazioni psicologiche sono state talmente pesanti da spingere le ragazze a chiedere aiuto a un'associazione che segue donne vittime di violenza, Differenza Donna. La più grande delle due è stata la prima a rivolgersi agli inquirenti. Ha raccontato di insulti e maltrattamenti continui. Ha detto che il padre, più volte, si sarebbe presentato sul luogo di lavoro di lei, una farmacia, minacciandola anche di fronte ai colleghi. Aveva scoperto che lei aveva un fidanzato italiano e che lui spesso la passava a trovare mentre era in servizio. Non voleva che i due passassero del tempo insieme. Non voleva addirittura che lei frequentasse ragazzi e ragazze non approvati dalla famiglia. E, soprattutto, pretendeva di scegliere l'uomo che avrebbe dovuto condividere con lei tutta la vita: voleva che sia lei che la sorella accettassero un matrimonio combinato, con ragazzi iracheni. In un'occasione, per impedire loro di uscire con gli amici, il padre le avrebbe quasi sequestrate in casa per più di due ore. Da qui la decisione di denunciare: le vittime temevano di non essere più al sicuro. Le decisioni dei genitori erano sostenute anche dal fratello delle giovani. Mentre un trattamento molto diverso era stato riservato alla sorella più piccola: essendo nata in Italia, a differenza degli altri tre figli, era lasciata molto più libera e, per esempio, non era costretta a indossare il velo contro la sua volontà.

 

LA QUERELA

Dopo un anno trascorso lontane dalla famiglia, le due vittime sono state sentite in modalità protetta in sede di incidente probatorio. Hanno ribadito le accuse, fornendo discorsi che gli inquirenti considerano lucidi e circostanziati, quindi altamente credibili. Il legale che le seguiva aveva sporto denuncia anche per costrizione o induzione al matrimonio, che punisce «chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile». Per la Procura, però, il reato non si sarebbe verificato, visto che il matrimonio non c'è effettivamente stato. Almeno finora: nelle scorse settimane le due vittime hanno deciso di revocare la nomina all'avvocato e, soprattutto, di ritirare la denuncia e di tornare a casa. Una decisione che, secondo gli inquirenti, sarebbe la conseguenza di pressioni esercitate nei loro confronti dai familiari. Da qui la decisione di portare comunque il padre e la madre a processo.

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