Ora Roma vuole cancellare i numeri romani

di Mario Ajello
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Mercoledì 22 Luglio 2015, 22:04 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 00:10
Dalla solitudine dei numeri primi alla scomparsa dei numeri romani. È uno scherzo? No. La Giunta capitolina ieri ha deciso che non è vero, come si legge in certe poesie, che si nasce barbari e si finisce romani. Può anche accadere che si ritorni barbari. Insomma, è stata varata una nuova delibera secondo la quale i numeri romani sono troppo difficili da capire e devono essere aboliti e sostituiti nei documenti.

Quindi, se uno abita in Largo Giovanni XXIII gli tocca abituarsi a vivere in Largo Giovanni Ventitreesimo, ed è più lunga la nuova dicitura che il luogo in questione.



La cancellazione riguarda anche le bollette che arrivano a casa (non più a Piazza Pio IX, per chi vive lì, ma a Piazza Pio Nono con il rischio che tra poco diventerà Pio 9) e, appunto, le targhe delle strade. Proprio questo ci voleva per rendere meno difficile la vita dei romani la quale, notoriamente, ha come primo fattore di sofferenza non i rifiuti o le buche ma la complicazione di tradurre II in secondo e V in quinto. Che è operazione ovviamente impossibile, per chi non abbia frequentato i seminari del grande latinista Concetto Marchesi o del suo sommo collega Santo Mazzarino.



Siccome l’assessorato alla complicazione funziona meglio di ogni altro, s’è deciso - in ossequio a un’indicazione dell’Istat - di semplificare complicando. Ovvero di insistere fino al colmo, in questa città, in quel processo di s-romanizzazione o de-romanizzazione già avviata da questa giunta con l’abolizione della dicitura Roma Capitale in favore di Rome&You o con la spinta al disuso dell’espressione Urbe che pure resta molto bella e tanto evocativa di una grandezza recuperabilissima se lo si vuole.



Neppure toglierli a Benevento o a Bergamo sarebbe buona cosa, ma eliminare i numeri romani a Roma sembra una burla ed è un paradosso. Rappresenta oltretutto, da parte delle autorità, una presunzione d’ignoranza dei cittadini della Capitale. Chi mai di loro, di noi, può credere che I seguito da X significhi ”icchese” (detto in slang locale) e non nono? E allora perchè lo devi scrivere a lettere o magari in un futuro prossimo (quando a Roma arriverà l’Isis?) in numeri arabi e via Clemente XII diventerà Clemente 12 come il nome di un taxi? Più che correggere le targhe delle strade non sarebbe meglio ricuicire le voragini stradali sottostanti a quelle diciture in vigore da secoli e che non hanno mai dato fastidio a nessuno al contrario delle cartacce e dei topi?



Le statue per ora sono salve dalla delibera s-romanizzante. Ma quella che ritrae Giovanni Paolo II a Piazza della Repubblica (intesa come I Repubblica, anzi come Prima, ma anche come II Repubblica o meglio Seconda e magari anche III e non lo si scriva più così ma così: Terza) tra poco potrebbe essere ulteriormente imbruttita con l’etichetta Giovanni Paolo Secondo. E qualcuno potrebbe scriverci sopra con il pennarello: «Secondo chi? Secondo te?».



Togliere le cifre latine significa semplificare nel senso peggiore della parola. E’ più facile e più semplice non avere alcun rapporto con il passato? Forse, sì: ma è un suicidio culturale. Quando invece è ancora utile, in una città come la nostra, così ricca d’identità, coltivare il tesoro che abbiamo. Per ripicca, contro la decisione della giunta, verrebbe da scrivere su tutti i muri della Capitale - tanto non passa nessuno a cancellare niente - che l’anno corrente non è il 2015 ma il MMXV e che Francesco Totti non è nato il 27 settembre del 1976 ma il XXVII-IX-MCMLXXVI. E Forza Roma, anche nei numeri.