Maltempo e altri disastri
il calvario della Capitale

Maltempo e altri disastri il calvario della Capitale
di Simone Canettieri
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Martedì 10 Aprile 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13:08
C’erano una volta quelle di John Belushi nei Blues Brothers, di scuse. («C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!»). Ma quello era un film. La realtà a Roma è fatta di discorsi di questo tipo: «Scusa il ritardo, ma questa mattina ho ritrovato un pino secolare sulla mia auto e sono rimasta ferita», come accaduto ieri mattina a una donna ad Acilia, litorale della Capitale. Oppure: «Niente cena, sono bloccato sulla Salaria: ho forato una gomma per le buche, insieme ad altre 50 auto», come accaduto ieri sera. Ma anche: «Sono fradicio, perché ho preso l’autobus e vi pioveva dentro; perdonami, ma ho scoperto che c’è uno sciopero e sono piantato qui». Un lessico sempre più famigliare. Ieri appunto l’ennesimo assaggio: una banale mattinata di vento e pioggia ha salutato l’inizio della settimana con scene da apocalisse: rami e alberi venuti giù (sono 600 negli ultimi tre mesi) come birilli. Strade chiuse, quasi cento interventi. 

Un allarme che si perpetua e nella sua pericolosità quasi annoia. Perché a Roma il destino inizia a prenderci la mira così tanto spesso, da trasformarsi in probabilità. Un’evenienza che muove le ansie: sapere che la mattina quando si esce di casa tutto può accadere o quasi. In un’estensione scanzonata della “Legge di Murphy”. Che «se qualcosa può andar male, andrà male» a forza di schivare voragini o di correre dietro all’ultimo autobus prima che scatti la serrata per colpa del micro sindacato di turno. 

I NUMERI
Non è una questione di scaramanzia ma di statistica: le strade di Roma sono un campo da battaglia (o da golf) che avrebbe bisogno «di 1 miliardo di euro» (fonte il Comune di Roma) per essere messo a posto. Sapete quanto il Comune può investire per questa emergenza? Al momento «trenta milioni di euro», spiegavano l’altro giorno proprio da Palazzo Senatorio. Il tutto, ci mancherebbe, nonostante le giaculatorie continue delle varie amministrazioni che si susseguono in Campidoglio ai Governi che cambiano: ci servono soldi per la città. 
È dunque molto probabile che alla fine il destino bussi o che si cerchi di saltarlo alla prossima buca a cui i romani danno del tu («Ao’, potrei chiamarla per nome, quella sotto casa mia: sta lì da quando facevo la comunione»). 
I numeri, sempre loro, vengono in soccorso dei vincitori di questa lotteria quotidiana chiamata “Vivere a Roma”, un videogame.

Secondo l’Autorità del Tevere, nella Capitale si apre una voragine ogni 36 ore. Un giorno e mezzo e via: la terra trema, con diversa intensità. Qualche settimana fa, a Balduina, nella zona di Roma Nord è caduto un costone di una strada, franato. Quei video e quelle foto a rivederli oggi sembrano le immagini esotiche che una volta si commentavano ad alta voce a tavola davanti alla tv: «Guarda in India, poverini!». Invece appunto è la Balduina oppure è il Tevere, non il Gange, che si è appena gonfiato a dismisura, inghiottendo auto e motorini in un limo di ruote e manubri. 

Ecco, è nel mettere in fila tutte queste calamità naturali che diventano compagne quotidiane di sventura e resistenza, verrebbe da pensare: forse servirebbe un’indennità Capitale. Per mettere nel conto cioè, che tutto può succedere, che la natura da queste parti può diventare matrigna e la vita molta agra. Il buongiorno te lo possono dare gli alberi che vengono giù come birilli sulla tua auto parcheggiata la sera prima. Oppure può essere un addio, come capita annualmente. 

I RIMEDI
E allora contro una Città che non supera nemmeno gli stress-test più banali, c’è chi la prende con ironia (ieri giravano i sonetti rivisitati della Pioggia del Pineto diventata del Pigneto). Ma il problema è grave e complesso: se in media a Roma viene proclamato uno sciopero dei trasporti ogni 20 giorni (il prossimo potrebbe essere già venerdì) o se le caditoie dei tombini non si puliscono e tutto diventa un lago o se, al contrario, d’estate gli autobus prendono fuoco con una frequenza inquietante. In questo senso di abbandono, dove tutti vivono un po’ fuori scala, ecco i militari alle fermate delle metropolitana. Chiamati a vigilare sulla sicurezza in caso di terrorismo diventano, nell’assenza di tutto il resto, piccoli punti di riferimento. Anche per un biglietto che non si riesce a obliterare o per una strada che, a una certa età, con un fiume in piena che scorre diventa complicata da attraversare. Per chi guarda non rimane che esclamare: «Guarda in India, poverini!». 
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