Mafia Capitale, crepe in appello: la corte cancella le aggravanti

Mafia Capitale, crepe in appello: la corte cancella le aggravanti
di Adelaide Pierucci
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Giovedì 26 Gennaio 2017, 07:58 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 07:58

Mafia Capitale scricchiola in appello. Non riconosciuta l'aggravante del metodo mafioso per il primo imputato sbarcato davanti ai giudici di secondo grado con l'accusa di aver agevolato il gruppo di Massimo Carminati. E pene ridotte per tutti gli imputati. A togliersi il peso più grosso, ieri, con una sentenza emessa dai giudici della terza sezione della Corte di Appello, Emilio Gammuto, collaboratore di fiducia di Salvatore Buzzi, il ras delle coop e braccio economico del Nero. La pena per lui viene ridotta da cinque anni e quattro mesi di carcere a tre anni. Ma soprattutto l'accusa di corruzione aggravata dall'articolo 7, ossia di aver agito con metodo mafioso diviene una corruzione semplice. Sollievo anche per gli altri tre coimputati. Per l'ex funzionaria del Campidoglio Emanuela Salvatori la condanna per corruzione viene ridotta di un anno: da quattro anni a tre di reclusione. Devono, invece, scontare due anni e otto mesi per usura Raffaele Bracci e Fabio Gaudenzi, vicini a Massimo Carminati, al posto dei quattro anni inflitti in primo grado. In attesa che le motivazioni della sentenza spieghino il mancato riconoscimento dell'aggravante mafiosa per Emilio Gammuto nell'aula bunker di Rebibbia si sono riaccese le speranze dei 46 imputati finiti al maxi processo. Sono attese tra tre mesi, prima della chiusura del verdetto di primo grado nel troncone principale. Al vaglio due ipotesi che avrebbero portato la Corte alla decisione: o Gammuto non sapeva dell'esistenza della Cupola, oppure l'associazione mafiosa non viene riconosciuta.

LE REAZIONI
Gammuto, che è stato comunque riconosciuto colpevole di aver foraggiato con Buzzi il funzionario comunale Claudio Turella, già direttore del X Dipartimento Tutela Ambientale del Comune (pure lui sotto processo), ha commentato con le lacrime agli occhi: «Uso le parole di Papa Ratzinger: ora mi voglio isolare dal mondo. Anche se credo sia difficile». Poi l'abbraccio con il difensore, l'avvocato Tatiana Minciarelli, che lo conforta: «Mi sono battuta come una leonessa». Il procuratore generale Catia Summariva aveva chiesto la conferma della condanna per tutti e quattro gli imputati. Mettendo in dubbio però l'aggravante contestata a Gammuto. «Il cartaceo», aveva sottolineato alla corte composta dai giudici Mazzacane, Demma e D'Agostino, «non proverebbe oltre il concorso in corruzione». E per questo motivo il procuratore generale aveva sollecitato la rilettura delle intercettazioni. La procura comunque punta a condanne in blocco per gli altri filoni di Mafia Capitale. La stessa funzionaria del Campidoglio Emanuela Salvatori, appena sollevata dallo sconto della condanna in appello, è stata di recente spedita a giudizio sempre per corruzione, in una inchiesta parallela, sempre per corruzione. In veste di capo dell'area inclusione sociale dell'ufficio Rom, Sinti e Camminanti del dipartimento Servizi Sociali è stata filmata per nove volte mentre intascava in ufficio mazzette da imprenditori impiegati nei lavori di bonifica nei campi nomadi infilandole direttamente nella borsetta.

LO SCHERZO
Il maxi processo, intanto, procede spedito. Il pm Luca Tescaroli ha annunciato di voler rinunciare all'interrogatorio degli imputati. Tranne che per l'ex delegato al Tavolo nazionale per i migranti Luca Odevaine (che è stato già condannato a due anni e 8 mesi per corruzione in un altro filone), l'ex segretaria di Buzzi Nadia Cerrito, e l'imprenditore Cristiano Guarneri. Il 30 gennaio saranno sentiti i primi imputati. Intanto è spuntata fuori una nuova intercettazione in cui Buzzi diceva a Turella: «Te vengo a piglià alle sette». Turella l'ha spiegata in un'altra chiave: «Era solo uno scherzo». Per la procura, invece, è indice dello stato di subalternità di Turella a Buzzi.