Immigrati, dentro il Cie di Ponte Galeria
Tra sogni e bocche cucite

Immigrato con bocca cucita a Cie
di Laura Bogliolo
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Lunedì 27 Gennaio 2014, 10:41 - Ultimo aggiornamento: 14:56

ROMA - Uno stanzone, tredici corpi distesi, piramidi di rotoli di carta igienica accatastati, strisce di lenzuola legate tra i letti per appendere i panni stesi. Fuori sbarre di ferro che sembrano toccare il cielo. C’è un pezzo d’Africa, con tutte le sue contraddizioni, dentro il dormitorio H del Cie di Ponte Galeria dove si sono riuniti i 13 marocchini che sabato sera si sono cucite le bocche per protesta. Otto di loro lo avevano già fatto il 21 dicembre per chiedere di essere liberati.

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Si scoprì poi che a guidare quella protesta fu un imam tunisino con molti precedenti. Un altro protagonista della protesta di dicembre, dopo essere stato liberato, venne arrestato per aver dato in escandescenza in viale Marconi, sotto l’effetto dell’alcol. Nel Cie infatti ci sono pregiudicati, ma anche profughi di Lampedusa. I 13 che ieri hanno protestato provengono da lì, dal Centro di prima accoglienza della piccola isola nella quale sono sbarcati a ottobre. Alcuni sono arrivati in Italia dopo 2 anni, dopo il viaggio in Libia, dove sono rimasti ostaggio mesi: «Ti tolgono i documenti - ha raccontato ieri Samir - ti trattano come schiavi, ti fanno lavorare senza pagarti». Lavori di ogni tipo dall'alba fino a notte fonda, poi vengono rinchiusi in appartamenti che diventano delle prigioni.

Passano mesi, a volte anche due anni, poi il viaggio sul barcone nel quale centinaia di corpi stipati trascorrono giorni in balia del mare. Il viaggio per arrivare in Italia costa dai 4.000 ai 5.000 euro.

A scatenare la protesta sabato sera la notizia arrivata da connazionali rinchiusi nel Cie di Caltanissetta: «Sono stati rilasciati con un foglio di via valido sette giorni - raccontano i marocchini con le bocche cucite a Ponte Galeria- perché noi invece dobbiamo restare rinchiusi per mesi? La Sicilia non è sempre Italia? Perché a Roma vengono decise cose diverse?». Ci sarebbe da chiedere come mai alcuni dei sopravvissuti al naufragio dell’11 ottobre a Lampedusa, vennero accolti a Roma con grande clamore dal sindaco Ignazio Marino e poi trasferiti in un istituto religioso di Ponte Mammolo, mentre i 13 marocchini sono finiti nel Cie.

I naufraghi accolti nell'istituto religioso dopo tre giorni lasciarono Roma. Molti arrivarono fino a Milano, un'altra tappa verso l'Europa del Nord. I marocchini invece sono finiti nel Cie di Ponte Galeria e quando hanno saputo che connazionali sono stati rilasciati dal Centro di identificazione di Caltanissetta hanno deciso di protestare.

«Si lamentano del fatto che da Natale non è cambiato nulla» racconta il direttore del Cie Vincenzo Lutrelli. Nei corridoi del Cie ogni spazio viene aperto usando un badge. Si inizia dal varco A, un corridoio, poi un altro varco. Incrociamo gli ospiti che vengono accompagnati in infermeria per i controlli dagli operatori della cooperativa Auxilium. Dopo aver superato diversi varchi si arriva al settore maschile: si esce su un cortile, le inferriate separano i vari stanzoni (ognuna con 8 letti). Prima di entrare nel reparto dove i marocchini mostrano il filo cucito tra la carne, si passa attraverso un'altra stanza più piccola: materassi a terra e in angolo il collegamento con il mondo, un televisore che trasmette un canale con news in diretta. Sperano che si parli anche di loro.

Loro, i “bocca cucite”, sono sdraiati a letto e vogliono farsi fotografare, chiedono di «mostrare le condizioni in cui viviamo» e rifiutano il traduttore messo a disposizione dal Cie «perché – dicono - non ci fidiamo». A parlare per loro c'è un connazionale che ha imparato l'italiano. E raccontano che «hanno iniziato il viaggio insieme dal Marocco, e vogliono finirlo insieme». Dove? «Non vogliamo restare in Italia - dicono - ma raggiungere parenti e amici in Francia, Germania, qualcuno deve arrivare fino in Canada». Bocche cucite, ma anche sciopero della fame per 33 degli ospiti del Cie.

Nel pomeriggio uno dei marocchini si è sentito male ed è stato portato in infermeria. Il centro può ospitare 360 persone: attualmente ci sono 71 uomini e 29 donne. «Quasi tutti del Nord Africa» spiega Lutrelli.

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«Spero che dopo le promesse il Parlamento approvi al più presto le norme necessarie a porre fine a questa vergogna» ha commentato il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che a dicembre aveva chiesto «il superamento dei Cie». Secondo Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, «i Cie vanno chiusi».

Loro, i 13 con le bocche cucite, sono pronti a una lunga protesta mentre continuano a telefonare a casa dicendo che «va tutto bene». Perché si vergognano della vita che fanno: «Non possiamo raccontare la verità alle nostre famiglie, si preoccuperebbero troppo, diciamo che in Italia si vive bene». Sarà forse per questo che si continua a partire per l’Italia?.

laura.bogliolo@ilmessaggero.it

DENTRO IL CIE DI PONTE GALERIA

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