«La mia vita è in pericolo, se siete disposti a pagare vi dico perché se parlo con voi devo lasciare l’Italia, sono incinta e ho paura». Paura di cosa non lo spiega la cubana - supertestimone e donna “amica” di Giandavide De Pau - rispondendo al telefono. Forse il suo è un tentativo di strappare un po’ di soldi da questa vicenda ma ecco che chiede ben 100 mila euro, tanto costano le sue parole per il racconto delle ore successive al delitto delle tre prostitute, parte delle quali trascorse insieme al 51enne rinchiuso ora - con l’accusa di triplice omicidio volontario aggravato - nel carcere di Regina Coeli. Non è completamente marginale il ruolo di questa donna, che il giorno prima della mattanza di Prati trascorre la sera con De Pau consumando con lui stupefacenti. È lei, infatti, la prima a “raccogliere” il racconto confuso dell’uomo su «tutto quel sangue» che resterà poi addosso al presunto killer, su quelle donne ed è lei che fungerà da “ponte” tra De Pau e la famiglia. L’uomo perde dalle tasche il cellulare nell’appartamento delle due prostitute cinesi, quel telefono che poi gli agenti della Squadra Mobile troveranno risalendo alla sorella di De Pau a cui, formalmente, è intestata la scheda.
Il ruolo
Ed è tramite la cubana che il presunto omicida contatta la sorella, la quale gli dice di tornare a casa, di raccontare cosa sia successo.
La posizione giuridica
A “Il Messaggero” riferirà chiaramente: «Mi ha detto di aver ucciso tre donne, sono una miracolata». Una frase che, se ripetuta in questi esatti termini agli inquirenti, potrebbe costituire un’importante prova a carico di De Pau. Ma allo stesso tempo, se dovesse essere dimostrato un coinvolgimento della cubana nella fuga del presunto killer, rischia di finire indagata per favoreggiamento. Questa accusa, però, renderebbe la sua testimonianza inutilizzabile durante il processo.