Roma, l'ultima minaccia: Di Pietro piove sul Campidoglio

Roma, l'ultima minaccia: Di Pietro piove sul Campidoglio
di Mario Ajello
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Domenica 11 Settembre 2016, 10:12 - Ultimo aggiornamento: 16:45
Una farsa? Di sicuro una sciagura. Tra tanti guai che possono capitare alla Capitale il peggiore sarebbe di gran lunga il ritorno di Di Pietro.

Neanche uno tsunami, o la riapparizione del Marziano Ignazio, o una nuova calata dei lanzichenecchi per il bis del Sacco di Roma del 1527 potrebbero rivaleggiare con l'eventualità di Tonino come capo di gabinetto della sindaca Raggi, che già è messa come è messa. La minaccia del nuovo disastro, non previsto dalla meteorologia politica che si era gioiosamente dimenticata dell'esistenza di Tonino, aleggia da giorni sul cielo dell'Urbe. E forse l'alluvione di ieri pomeriggio è stata un'avvisaglia di quanto potrebbe capitare nelle prossime ore, ma si spera ovviamente che non capiti: perché Roma, che comunque non è stata incolpevole in questi anni, una condanna così dura come questa della riemersione di Di Pietro dalle sabbie del Tevere non la merita.

Tonino il Rieccolo, verrebbe da dire. Però il solo accenno di un paragone con il vero «Rieccolo» - così Indro Montanelli soprannominò Amintore Fanfani che entrava e usciva dai governi - fa immediatamente scartare questa immagine. Sarebbe infatti sacrilego ogni accostamento tra lo statista toscano e il contadino molisano, tra il cavallo di razza Dc e il mulo di Montenero di Bisaccia.

Che c'azzecca con il Campidoglio grillino l'ex leader dell'Italia dei (dis)Valori? Ci azzecca qualcosa sul piano dei congiuntivi che, neanche per sbaglio, egli è solito azzeccare. Con Di Maio e Di Battista, oltre che l'inizio del cognome, Di Pietro condivide infatti l'uso della lingua e dei tre vincerebbero tutti e tre nella gara a chi confonde il «fossi» con il «sarei». Se sarei assessore che cosa facessi, si starà chiedendo Tonino mentre accarezza - anche se sta partendo per il Brasile dove lo aspetta il suo amico pm che sta scimmiottando Mani Pulite ribattezzate laggiù Manos Limpias - il brivido di una nuova poltrona e di altri riflettori? Una cosa è certa: se la mail sulla Muraro indagata l'avesse (o l'avrebbe?) scritta Di Pietro, Di Maio avrebbe (avesse?) avuto ragione a dire: non l'ho capita. Visti i deficit letterari del mittente.

Intanto Di Pietro - come ha scritto ieri su Facebook: «Tutti dovrebbero aiutare la giunta Raggi ingiustamente criminalizzata» - vorrebbe tanto essere scongelato e issato sul Campidoglio. Anche se non il nuovo che avanza egli rappresenta, quanto invece l'avanzo di un passato improponibile. E invece di riflettere sui guai che il giustizialismo ha arrecato a tutti, e ora anche a loro stessi come dimostra la crisi della giunta Raggi, i pentastellati nel senso di Grillo, ma non della sindaca che infatti non vuole Tonino tra i piedi, rispolverano il simbolo del giustizialismo. Il quale oltretutto è un giustizialista giustiziato dai propri errori e dai propri fallimenti. Da cui Roma, naturalmente, ha tutto il diritto e il dovere di stare alla larga. Se infatti gli ebrei in Egitto hanno vissuto le famose sette piaghe bibliche, non si vede perché Roma - che di piaghe non ne ha sette, quelli sono i colli, ma settanta o settecento o settemila - debba aggiungerne un'altra, la piaga dello Pseudo-Rieccolo, che sarebbe quella letale.