Rossella Nappini, l'infermiera uccisa dall'ex Adil Harrati perché «voleva la cittadinanza»: accoltellata 56 volte sotto casa

Per il pm il marocchino di 45 anni sperava di sposarla: «Il suo rifiuto uno dei moventi»

Rossella Nappini, infermiera uccisa dall'ex a Roma perché «voleva la cittadinanza»: accoltellata 56 volte sotto casa
di Valeria Di Corrado
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Martedì 9 Aprile 2024, 07:25

Uccise l'infermiera Rossella Nappini con 56 coltellate perché non accettava la fine della relazione, che aveva instaurato per ottenere anche la sua regolarizzazione sul territorio italiano. È quanto ha affermato ieri in aula il pm Claudia Alberti nella prima udienza del processo, davanti alla Corte di assise di Roma, a carico di Adil Harrati, 45enne di origine marocchina irregolare sul territorio italiano. Nei suoi confronti, infatti, la Procura capitolina ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per il femminicidio avvenuto il 4 settembre del 2023 nell'androne di uno stabile di via Giuseppe Allievo, nel quartiere Trionfale. Nei confronti dell'imputato è contestato l'omicidio aggravato dalla premeditazione e crudeltà contro una persona «a cui era legato da relazione affettiva cessata». Il rappresentante dell'accusa ha spiegato che Adil Harrati «sperava nel proseguimento della relazione, si era ipotizzato un matrimonio che consentisse la regolarizzazione della posizione. La chiusura della relazione, e dunque la vanificazione dell'intento dell'imputato, è stato uno dei motivi dell'omicidio, un delitto commesso con 56 coltellate».

IL RACCONTO DELLA SORELLA

Effettivamente anche la sorella della vittima, Monica Nappini, in un'intervista a "Il Messaggero" aveva confermato che «stavano organizzando il matrimonio», prima che lei decidesse di lasciarlo. «Mi disse "mi sono innamorata di quest'uomo e lo voglio sposare". Io le obiettai che lo conosceva da tre mesi e lei mi rispose che era bravo, "mi fa sentire bene", "mi sento amata, mi porta fuori". In realtà ci era uscita solo due volte, una sera per un cinema e un'altra per una pizza fuori. Stop. Le dissi: per questo ti vai a sposare? Ti rendi conto di cosa fai? Poi non abbiamo più ripreso l'argomento perché rischiavamo di finire a discutere. Quest'uomo lo vidi solo in foto su Facebook e le esposi le mie perplessità. Poi la relazione si è interrotta: immagino che mia sorella avesse scoperto qualcosa di lui, del suo passato. Si è tirata indietro, ha mollato tutto e allora lui si è vendicato».
Dopo l'assassinio era tornato a casa sua come se nulla fosse. Davanti ai poliziotti che alle 4,30 della notte erano andati a bussare alla porta dell'abitazione a Torrevecchia che condivideva con due connazionali e col proprietario italiano, aveva abbassato lo sguardo e ammesso quello che aveva fatto solo poche ore prima. Si era lasciato portare via, senza opporre resistenza. Con l'arma del delitto probabilmente era uscito di casa, intenzionato a fare del male alla 52enne. Poi, per nascondere le tracce del sangue, si era lavato le scarpe. È bastato tracciare il telefono del marocchino per avere la conferma che all'ora dell'omicidio fosse agganciato alla cella di zona. Non aveva tentato la fuga, ma nemmeno si era subito consegnato agli inquirenti, messi sulle sue tracce dai familiari della vittima, uccisa alle cinque meno un quarto del pomeriggio nell'androne del palazzo di via Allievo, in cui abitava con l'anziana madre. Rossella sei mesi prima aveva lasciato la casa di Campagnano, con cui aveva vissuto con l'ex, per trasferirsi al Trionfale, più vicina all'ospedale San Filippo Neri dove lavorava. Con l'occasione le due donne avevano deciso di ristrutturare l'appartamento e Harrati era uno degli operai della ditta incaricata. La loro storia, tuttavia, sarebbe durata pochi mesi. Lui, però, non voleva arrendersi. Le scriveva messaggi, la chiamava, le aveva anche richiesto i soldi spesi per il tempo passato insieme.

«VOGLIAMO L'ERGASTOLO»

I giudici ieri hanno ammesso come parti civili i figli, la mamma e la sorella dell'infermiera uccisa, oltre all'associazione «Insieme a Marianna» e a quella per le vittime vulnerabili di reato. «Vogliamo il massimo della pena», hanno detto i familiari al termine dell'udienza. La prossima è fissata per il 29 maggio, quando verranno sentiti in aula i poliziotti della Squadra Mobile che hanno condotto le indagini.
 

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