Le conseguenze
Un danno economico rilevante se si considera, infine, che per il ristoro da parte della Regione Lazio c’è poi da attendere anche fino a 5 anni. Dopo i circa 35mila euro di danni annoverati nel 2017, con un leggero incremento nel 2018, l’anno 2019 è stato senza dubbio il peggiore, in quanto si è registrata la pressoché totale distruzione delle coltivazioni del prezioso legume, produzione tipica locale molto rinomata. Danni il cui conto è presto fatto, considerato che da ogni ettaro di terreno si ricavano circa fino a 6-7 quintali al netto di prodotto venduto a 1.200 euro al quintale. A fronte della perdita dei raccolti per danni da fauna selvatica, la Regione Lazio risarcisce, in questo caso, 39 centesimi al chilogrammo, con un ristoro economico praticamente irrilevante per le parti lese. La popolazione di cervi (e non solo) nell’area - complice la vicinanza delle catene montuose laziali e abruzzesi - ha subìto una rapida espansione (avvistato recentemente un branco composto da 25 esemplari), favorita da un territorio con scarsi insediamenti umani, isolato, incontaminato e con la presenza di un bacino idrico, idoneo al loro stanziamento e alla loro riproduzione. Una convivenza però risultata incompatibile con la coltivazione - in una fascia altitudinale compresa tra i 900 e i 1.300 metri - della lenticchia nell’Altopiano di Rascino. Condannate ormai da qualche anno le semine realizzate nei terreni contigui ai boschi, divenuti autentici fast-food a cielo aperto per i cervi. «Siamo stati costretti ad abbandonare la coltivazione delle aree di confine con il bosco, noi come anche altri - spiegano dall’azienda Agricola Giuliani - perché di più agevole accesso ai cervi provenienti dalla boscaglia. Servirebbero abbattimenti selettivi o comunque una pianificazione per il controllo del numero della popolazione. Per noi sono diventati un problema reale».
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