Rieti, lenticchia di Rascino: terreni e produzione danneggiati dai cervi

I terreni della lenticchia di Rascino (Archivio)
di Emanuele Faraone
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Venerdì 14 Agosto 2020, 01:30
RIETI - ​Vita dura per i produttori della rinomata lenticchia di Rascino, con i raccolti devastati (e divorati) dai cervi. Se la presenza di questi ungulati è senza dubbio un dato di grande rilevanza e di enorme pregio ambientale, dall’altro è un autentico flagello per i numerosi coltivatori presenti nell’Altopiano di Rascino, le cui attività sono poi spesso legate ad aziende agricole e siti produttivi a conduzione familiare. Ghiotti a quanto pare di questi preziosi germogli, i cervi - avvistati in branchi sempre più numerosi - fanno man bassa all’interno delle aree coltivate, soprattutto in questi mesi, quando le piante raggiungono la piena maturità, nel periodo estivo, compreso tra la fine del mese di luglio e i primi giorni di agosto. Danni che poi vanno a ripercuotersi, a catena, sulle spalle dei produttori locali, costretti a fare i conti con una drastica e pesante contrazione dei raccolti e con rimborsi regionali irrisori.

Le conseguenze
Un danno economico rilevante se si considera, infine, che per il ristoro da parte della Regione Lazio c’è poi da attendere anche fino a 5 anni. Dopo i circa 35mila euro di danni annoverati nel 2017, con un leggero incremento nel 2018, l’anno 2019 è stato senza dubbio il peggiore, in quanto si è registrata la pressoché totale distruzione delle coltivazioni del prezioso legume, produzione tipica locale molto rinomata. Danni il cui conto è presto fatto, considerato che da ogni ettaro di terreno si ricavano circa fino a 6-7 quintali al netto di prodotto venduto a 1.200 euro al quintale. A fronte della perdita dei raccolti per danni da fauna selvatica, la Regione Lazio risarcisce, in questo caso, 39 centesimi al chilogrammo, con un ristoro economico praticamente irrilevante per le parti lese. La popolazione di cervi (e non solo) nell’area - complice la vicinanza delle catene montuose laziali e abruzzesi - ha subìto una rapida espansione (avvistato recentemente un branco composto da 25 esemplari), favorita da un territorio con scarsi insediamenti umani, isolato, incontaminato e con la presenza di un bacino idrico, idoneo al loro stanziamento e alla loro riproduzione. Una convivenza però risultata incompatibile con la coltivazione - in una fascia altitudinale compresa tra i 900 e i 1.300 metri - della lenticchia nell’Altopiano di Rascino. Condannate ormai da qualche anno le semine realizzate nei terreni contigui ai boschi, divenuti autentici fast-food a cielo aperto per i cervi. «Siamo stati costretti ad abbandonare la coltivazione delle aree di confine con il bosco, noi come anche altri - spiegano dall’azienda Agricola Giuliani - perché di più agevole accesso ai cervi provenienti dalla boscaglia. Servirebbero abbattimenti selettivi o comunque una pianificazione per il controllo del numero della popolazione. Per noi sono diventati un problema reale».
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