La selezione per merito si estenda agli statali

di Oscar Giannino
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Giovedì 12 Marzo 2015, 23:26 - Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 00:16
Il governo ha varato il disegno di legge sulla “buona scuola”, ed era tempo dopo 11 mesi di gestazione. Ora toccherà al parlamento esaminarlo in fretta, perché il tempo è scarso, per adempiere all’obiettivo della messa in regola dei precari per l’anno scolastico che inizia a settembre prossimo. Come Renzi ha sia pur implicitamente chiarito, il Parlamento sarà in tempo comunque: perché se l’esame parlamentare dovesse andare alle lunghe in ogni caso il governo stralcerà la sanatoria per decreto legge.

Con la sanatoria dei 100 mila precari delle graduatorie a esaurimento l’Italia dovrebbe mettere finalmente alle sue spalle una pessima pratica clientelare pluridecennale, che ha visto governi di ogni colore creare decine di diverse figure di precari della scuola, promettendo di volta in volta una messa a ruolo sempre rimandata. È inevitabile ora in parlamento una battaglia perché a precari delle graduatorie a esaurimento e ai vincitori del concorso 2012 (e a chi ha sostenuto di tasca propria percorsi basati su prove come il Tfa, speriamo) si sommino anche i precari di seconda fascia.

Ma la scelta dei 100 mila il governo l’ha fatta, discutibile per quanto sia visto che accomuna profili assai diversi. Estenderla comporta problemi di bilancio, e ritardare ulteriormente le future immissioni che dovranno avvenire solo tramite concorsi futuri. Tra le tante novità da approfondire testi alla mano nell’esame parlamentare, indichiamone intanto alcune apprezzabili.

E altre che sicuramente appaiono critiche e da chiarire. È una svolta quella indicata a favore di una forte autonomia giuridica di ogni istituto, centrata sul suo dirigente scolastico che potrà nominare fino a tre suoi diretti collaboratori.



A circa 8500 dirigenti scolastici e ai loro 25 mila cooperanti si demandano funzioni di pianificazione dell’offerta scolastica, di scelta degli insegnanti suppletivi da pescare negli immessi in ruolo che resteranno in eccesso rispetto alle cattedre a disposizione in alcune materie, e nella valutazione del merito degli insegnanti di ogni istituto, che rappresentano sicuramente una forte rottura di continuità rispetto a una scuola “gentiliana” che viveva di offerta e regole standard nazionali. In una PA che rifugge spesso dall’assunzione di scelte e responsabilità, è un forte investimento di fiducia verso chi ricoprirà tali ruoli.



Che dovrà anche essere giudicato triennalmente sul proprio operato, in maniera molto più seria di quanto avvenga oggi. Molto apprezzabili sono altre “rotture”: il 5 per mille esteso alle scuole, gli incentivi fiscali stabilizzati ai privati che vi investiranno, le detrazioni alle famiglie che scelgano per i propri figli le scuole pubbliche paritarie fino alla prima fascia della scuola secondaria. Ci sarà in Parlamento chi riaprirà le solite polemiche anti-paritarie facendone guerra di religione, ma al contrario le paritarie fanno parte integrante della scuola pubblica, fanno risparmiare centinaia di milioni al contribuente, e sono espressione di una libertà formativa che va preservata e incentivata. Positiva è anche la scelta di potenziare l’alternanza scuola-lavoro, con moduli di 400 ore per gli istituti tecnico-professionali e di 200 per gli altri licei.



Anche se, sotto questo profilo, si perde ancora una volta l’occasione storica di una scelta decisa verso il modello di formazione professionale di tipo tedesco, molto più conforme alle esigenze formative di un Paese ad alta vocazione manifatturiera come l’Italia. In Germania il 49% degli iscritti universitari frequenta le università professionalizzanti in coerenza agli indirizzi professionali del ciclo secondario, da noi meno dell’1%. E la differenza si vede. Ma veniamo a uno dei punti più discussi della riforma. Quello che per 11 mesi è stato sbandierato dal governo come una svolta: il premio al merito conseguente alla valutazione degli insegnanti. Alla fine il governo si è piegato al compromesso. Gli scatti retributivi di anzianità restano per gli insegnanti, ha detto Renzi.



Ma in più il governo ha scovato nei 3 miliardi di risorse per il 2016 anche 200 milioni di premi al merito, attribuiti secondo le valutazioni su ogni insegnante che in ogni istituto farà innanzitutto il dirigente scolastico e i suoi collaboratori. E in più il governo ha anche aggiunto una carta-insegnante idi 500 euro l’anno, per sostenere i consumi culturali che ogni docente deve sostenere per l’aggiornamento, dai libri al teatro. È sicuramente un punto critico. Se la valutazione di merito è seria, deve avvenire secondo criteri noti ex ante, che contemplino le performance ottenute nelle classi, le verifiche sull’insegnamento frontale, i giudizi di studenti e famiglie. Deve prevedere fasce di crediti e punteggio diverse. E deve essere parte integrante della retribuzione. Non è ancora chiaro se questi tre criteri siano quelli indicati dal governo. Più non sarà così, più si creeranno problemi. Crescerà la tentazione di attribuire i premi su progetti comuni di ogni istituto invece che su risultati individuali, spalmando a tutti il beneficio. E si accenderà un’inevitabile querelle con i sindacati. Che ha un fondamento oggettivo.



Per esigenze di contenimento del deficit, nella pubblica amministrazione da anni gli scatti retributivi sono congelati, tranne che per magistrati e, ultimamente, anche per militari e forze dell’ordine. Prevedere che in tutta la PA solo agli insegnanti restino appieno gli scatti di anzianità, più un premio di merito sostanzioso che par di capire sia extra-retributivo, più 500 euro di spese pagate l’anno, accenderebbe inevitabilmente richieste analoghe nella PA di cui è necessario capire il costo e la copertura, visto che presto o tardi i contratti pubblici bisognerà pur rinnovarli e non solo tenerli congelati. C’è un’unica via di uscita: estendere a tappeto in tutta la PA una logica premiale del merito e una cultura e prassi seria della valutazione delle performance individuai. Cominciando nella scuola oggi, ma in tutto il mondo pubblico subito dopo.