Tfr statali: via ai prestiti, ma anche l’Inps chiede l’1%

Oggi si aspettano 5 anni per la liquidazione, con il rialzo-tassi, l’anticipo bancario è caro. L’ente di previdenza ha disponibilità solo per 300 milioni: si va verso il click-day

Tfr, pubblica amministrazione: via ai prestiti, ma anche l Inps chiede l 1%
di Francesco Bisozzi
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Mercoledì 25 Gennaio 2023, 23:08 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 13:34

I dipendenti pubblici dovranno versare un obolo all’Inps per ottenere subito la liquidazione. A partire dalla settimana prossima, infatti, l’istituto di previdenza anticiperà il Tfs/Tfr agli statali in pensione che ne faranno richiesta, ma a un tasso dell’un per cento, più una ritenuta dello 0,5 per cento per le spese di amministrazione. Un tasso senz’altro inferiore rispetto a quelli praticati in questa fase dalle banche e che però ha comunque il sapore di una beffa per i sindacati della Funzione pubblica. Così il segretario nazionale della Fp Cgil, Florindo Oliverio: «Il problema è a monte, vanno ripristinate le regole di equiparazione tra Tfr o Tfs tra dipendenti pubblici e privati. Oggi uno statale che va in pensione per raggiunti limiti di età aspetta nella migliore delle ipotesi uno o due anni prima di ricevere la liquidazione, e addirittura cinque se invece è uscito dal lavoro prima del previsto, come hanno fatto molti “quotacentisti”. Serve dunque un intervento del legislatore, prima di tutto. L’iniziativa dell’Inps è anomala: l’ente dovrebbe intervenire più efficacemente per ridurre i ritardi nelle erogazioni e non chiedere ai dipendenti pubblici di pagare per avere subito la liquidazione». 


L’INTERVENTO
A ogni modo le entrate corrispondenti all’applicazione dell’interesse saranno totalmente reinvestite nelle prestazioni di welfare, a beneficio degli iscritti stessi, spiega l’istituto di previdenza.

Potranno accedere ai finanziamenti dell’Inps solo gli iscritti al cosiddetto Fondo credito, che offre diverse prestazioni di credito e di welfare per mutui, formazione e salute. A disposizione circa 300 milioni di euro, cifra che potrà essere incrementata strada facendo. Una somma sufficiente a soddisfare nell’immediato appena 5-10mila domande, secondo fonti sindacali. Una goccia nel mare, considerato che tra il 2015 e il 2020, solo per raggiunti limiti di età, sono andati in pensione più di 200mila statali (di cui cinquantamila nel 2020). Questi i numeri che emergono dall’ultimo Conto annuale pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato. Insomma, si va verso un click day. 


L’ITER
La domanda per l’anticipo potrà essere presentata esclusivamente online attraverso il sito dell’Inps: si parte il primo febbraio e le richieste saranno accolte in ordine cronologico fino a esaurimento delle risorse. Come detto, non rientrano tra i beneficiari della prestazione i cessati dal servizio che non risultano iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, il cosiddetto Fondo credito, sia al momento della domanda di anticipazione del Tfs/Tfr che al momento della concessione dell’anticipazione del trattamento. La richiesta di adesione al fondo può essere fatta solo contestualmente alla domanda di pensione o entro il 31 agosto dell’anno di cessazione. Infine i prestiti dell’Inps, a differenza di quelli delle banche, non avranno limiti di importo (gli istituti di credito si fermano a 45mila euro). 


GLI ACCORDI
La convenzione tra Abi e governo, sulla base della quale le banche possono anticipare ai dipendenti pubblici in pensione fino a 45mila euro di liquidazione con interessi calmierati, è stata rinnovata nei mesi scorsi. L’accordo prevede la possibilità per gli istituti di credito di applicare un tasso che è la somma del rendistato e di uno spread dello 0,4 per cento. Il rendistato però è schizzato in orbita con la crisi e per la scadenza più breve ha superato la soglia del 2,8 per cento a dicembre, mentre per quanto riguarda le scadenze più lunghe viaggia ora sopra il 4 per cento. E così l’anticipo del Tfs-Tfr da parte delle banche costa ora più del 3 per cento, bene che va. 
Attenzione, però, perché anche l’Inps si riserva la facoltà di aggiornare con un ulteriore provvedimento i tassi di interesse applicati.

Quindi quell’un per cento di cui sopra potrà essere rivisto al ribasso o verso l’alto, a seconda dell’andamento dell’economia. Il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici ha tempi di pagamento diversi a seconda della cause di cessazione del rapporto di lavoro. Si va dai 105 giorni previsti nel caso di decesso del lavoratore o di uscita per inabilità a circa cinque anni nel caso di chi è uscito dal lavoro con Quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi). L’Inps ha anche chiarito che nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta per raggiungimento dei limiti di età o di servizio, il pagamento va effettuato non prima di 12 mesi dalla data di uscita dal servizio, mentre in tutti gli altri casi di cessazione del rapporto di lavoro, come per esempio le dimissioni e il licenziamento, il pagamento della prestazione spettante sarà effettuato non prima di ventiquattro mesi. 
 

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