Statali, via al prestito per trattamento di fine servizio. Tridico: «Tasso dell'1%, si parte a febbraio»

I dipendenti pubblici ricevono Tfs e Tfr fino a cinque anni dopo il pensionamento

Statali, Tridico conferma: «Prestiti del Tfs a un tasso dell'1% dal 1° febbraio»
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Giovedì 26 Gennaio 2023, 17:39 - Ultimo aggiornamento: 17:54

C'è una nuova opportunità offerta dall'Inps per gli statali. Il primo febbraio partirà una prestazione, da parte dell'Inps, nell'ambito della quale «l'Istituto funge, in qualche modo, da banca», ossia «presta il Tfs (Trattamento di fine servizio, ndr) ai lavoratori pubblici che ne faranno richiesta ad un tasso di interesse molto, molto, molto agevolato», ossia all'1%.

Come anticipato dal Messaggero a novembre l'Inps “anticiperà” con un prestito ai dipendenti pubblici che andranno in pensione i soldi del loro Tfs, il trattamento di fine servizio, o del Tfr, il trattamento di fine rapporto. Perché prestare soldi che sono già virtualmente dell'impiegato pubblico? Poiché i dipendenti pubblici ricevono Tfs e Tfr fino a cinque anni dopo il pensionamento.

La liquidazione degli statali, infatti, non viene "liberata" subito. 

Si tratta, dichiara il presidente dell'Inps Pasquale Tridico, nella Commissione Affari sociali e sanità di palazzo Madama, di un esempio di previdenza integrativa che l'Istituto «attua soltanto nei confronti della platea dei lavoratori pubblici, perché sono loro a pagare il contributo dello 0,35%», ma, ha proseguito, rivolto ai senatori, «se l'obiettivo è quello di estendere questo modello a tutti i lavoratori, obiettivo ottimo», ha rimarcato Tridico, «bisognerebbe, allora, trovare il modo di finanziarlo, alimentando un apposito fondo», ha ammonito il presidente.

Arriva un fondo complementare pubblico?

«Questa è una proposta che abbiamo studiato negli anni e che, considerata la nostra infrastruttura, l'Inps potrebbe sicuramente gestire. Non dal punto di vista finanziario per il quale potrebbe intervenire la Cdp che potrebbe garantire un rendimento finanziario e orientare gli investimenti non solo con la sottoscrizione di buoni del Tesoro ma anche sostenendo progetti sulla transizione ecologica e la sostenibilità per recuperare quel rendimento» dice ancora Tridico. Tra i vantaggi ulteriori di un fondo complementare pubblico, inoltre, soprattutto quello di poter rendere flessibile il pensionamento: «il fondo potrebbe anche comunicare con l'Ago, il fondo obbligatorio, per consentire quella flessibilità che oggi manca nel nostro sistema tant'è che ogni anno il legislatore si esercita ad introdurre quote di anticipazione. Il fondo potrebbe intervenire nel caso in cui al lavoratore manchino anni di contributi alla pensione», dice. Un esempio per tutti: «se ci sono contribuzioni che corrispondono a 5 anni accumulate in maniera facoltativa da un lavoratore gravoso nella previdenza complementare integrativa, questi 5 anni potrebbero essere riversati nella sua contribuzione obbligatoria anticipandone la data di pensionamento.

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Non solo. Per l'Inps si potrebbe prevedere anche di svincolare il fondo di previdenza complementare pubblico dal rapporto di lavoro». «Il fondo cioè potrebbe essere considerato un vero e proprio salvadanaio che terzi, genitori o nonni, potrebbero riempire per conto del lavoratore che non abbia ancora un lavoro o un lavoro stabile con una conseguente posizione contributiva molto scarsa», spiega ancora Tridico.

L'idea, dunque , «è di esplorare la possibilità che anche l'Inps possa raccogliere fondi di previdenza complementare in aggiunta a quella privata oltre il limite del 33% fissato oggi dalle norme», spiega. Il panorama attuale su questo fronte infatti, non è confortante: «la previdenza complementare interessa solo il 22% dei lavoratori, prevalentemente di ceto medio-alto, residenti al centro nord e maschi», dice sottolineando come «l'obiettivo con cui negli anni '90 nacque la previdenza complementare era giusto» ma complici anche i salari «stagnanti degli ultimi 30 anni» lo strumento è stato utilizzato non dalla classe medio-bassa «ma da chi detiene salari medio-alti che così hanno aumentato, legittimamente, il proprio rateo pensionistico».

Il fondo pubblico, dunque, «potrebbe moltiplicare per 4-5 volte quel 22% di lavoratori che ad oggi aderiscono alla previdenza complementare».  I fondi privati inoltre raccolgono circa 275 mld di previdenza complementare con due aspetti negativi, annota ancora Tridico: «oltre il 70% delle risorse sono prevalentemente investite all'estero con uno scarso ritorno di capitalizzazione all'interno del Paese il cui rendimento non supera quello de Tfr; e i costi di gestione amministrativa sono molto importanti tanto che un rendimento al lordo anche del 3% al netto si riducono all1%», spiega ancora.

Un fondo di previdenza complementare pubblico, invece, «da agevolare fiscalmente», potrebbe perciò arrivare là dove la previdenza integrativa privata, che resterebbe comunque in campo, non arriva, «allargando la platea, sempre con adesioni facoltative, anche ai soggetti più deboli sul mercato del lavoro, giovani e donne».

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