La linea di Renzi: solo ritocchi, non è più tempo di ingerenze

La linea di Renzi: solo ritocchi, non è più tempo di ingerenze
di Marco Conti
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Lunedì 1 Febbraio 2016, 07:59
ROMA -Il tempo delle «ingerenze» è finito anche se Matteo Renzi ha seguito con attenzione la manifestazione di sabato contro la legge sulle unioni civili. Tutti gli argomenti usati al Circo Massimo sono da tempo noti a palazzo Chigi anche se personalmente il presidente del Consiglio ha sempre preferito tenersi fuori lasciando al sottosegretario Claudio De Vincenti il compito di incontrare gli esponenti delle associazioni cattoliche che più si sono opposte al ddl Cirinnà così come ad ascoltare le richieste delle altrettanto consistenti organizzazioni che da anni si battono per una legge sulle unioni civili.

BACCHETTATE
I numeri della piazza, due milioni o trecentomila, nulla influiscono, per il presidente del Consiglio, «sul rispetto che si deve alle ragioni di chi manifesta». La stessa attenzione che in queste ultime settimane ha voluto ci fosse per le ragioni di quella parte del Pd che sulla stepchild adoption è pronta a dire no. Rispetto, ricerca fino all'ultimo di una possibile intesa, ma per Renzi la legge va fatta. E' per questo che al ministro Alfano ha lasciato il compito di incontrare Gandolfini, l'organizzatore del ”Family day”, che al Parlamento non chiede modifiche ma di «respingere la legge in toto». Per Renzi si tratta di una richiesta «inaccettabile» perchè sull'argomento delle unioni civili l'Italia è stata più volte bacchettata dall'Europa in quanto unico Paese, tra i più importanti dell'Unione, a non avere una legislazione in materia. D'altra parte che il clima sia cambiato anche Oltretevere lo dimostra il silenzio di ieri di Papa Francesco che all'Angelus non ha speso una parola sulla manifestazione di ieri ”colorata” dalla presenza di molti esponenti politici di opposizione ma non solo, e dalla presenza di un cospicuo numero di laici ai quali il Papa lascia il compito di svolgere un ruolo politico all'interno di istituzioni democratica dove il principio della maggioranza e del voto è sacrosanto.

 

«Modifiche sì, ma cestino no». Su questa linea Renzi, più da segretario del Pd che da presidente del Consiglio, ha schierato tutto il partito ottenendo dai suoi senatori, anche da coloro che contestano alcune parti del testo, la promessa di votare a favore della costituzionalità della legge e a non firmare richieste di voto segreto.

COSCIENZA
Si comincia domani al Senato con i voti di costituzionalità e si proseguirà poi da giovedì con la votazione del testo. Soltanto martedì sera si conoscerà il numero degli emendamenti. L'accordo tra Pd e opposizioni, via l'emendamento canguro del senatore Marcucci in cambio del ritiro di 5-6 mila emendamenti, sembra reggere anche se si dovrà attendere ancora un giorno. Solo dopo, probabilmente mercoledì mattina, il capogruppo al Senato Luigi Zanda incontrerà i senatori per decidere insieme su quali articoli del testo sarà possibile esprimere un voto di coscienza e quindi in dissenso dalla linea del partito.

Sicuramente sul contestato articolo 5, che permette l'adozione del minore del partner, verrà lasciata libertà di voto. In discussione è però anche l'articolo 3 che, secondo alcuni, pone i presupposti per considerare l'unione una famiglia, figli compresi.

La determinazione con la quale il Pd di Renzi sta perseguendo l'obiettivo potrebbe alla fine convincere a trovare una mediazione anche da parte di coloro che avrebbero voluto affossare tutto il testo. Zanda da giorni lavora per tenere compatto il gruppo in modo da ridurre il più possibile il peso di Sel, Ala e M5S che rischiano di risultare determinanti in molte delle circa quattrocento votazioni a scrutinio segreto che potrebbero esserci da giovedì all'11 febbraio, giorno del probabile voto finale. La trattativa in corso deve però tener conto anche delle ragioni del fronte favorevole e del gruppo del Pd della Camera visto che il capogruppo Ettore Rosato si è impegnato a lavorare con i senatori per evitare correzioni a Montecitorio della legge che obbligherebbe ad un nuovo passaggio del ddl a palazzo Madama. Malgrado sul voto favorevole dei Pentastellati non si vuole mettere la mano sul fuoco, nel Pd si tiene fermo l'impianto della legge Cirinnà e si concedono solo piccole modifiche che «non stravolgano il testo».