Non cadere nella trappola del conflitto

di Sebastiano Maffettone
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Giovedì 28 Luglio 2016, 00:05
C’è qualcosa di peggio del politicamente corretto, il politicamente aggressivo. Se il politicamente corretto tende a negare i fatti in nome dei principi, il politicamente aggressivo usa strumentalmente i fatti per cancellare i principi. E non c’è bisogno di grande filosofia per capire che dovremmo invece bilanciare fatti e principi, in un equilibrio difficile da raggiungere ma indispensabile per avere un’idea di che cosa è successo, di perché è stato quello che è stato e di come possiamo farci i conti.

Ammetto che mi sono lasciato troppo tentare dall’astrazione, e entro nel merito dicendo che sto parlando di padre Jacques Hamel, del suo trucido assassinio e del dibattito che ne segue. Credo che tutti sappiamo all’incirca come si sono svolti i fatti; i due terroristi arabi che entrano nella parrocchia di Rouen urlando «Allah Akbar» e «Daesh», l’omicidio, la repressione poliziesca, la rivendicazione da parte dell’Isis. Il problema concettuale ruota invece attorno a due domande: in primo luogo, se l’invito che viene da più parti a una sorta di nuova guerra santa, in sostanza a una crociata, sia frutto di una riflessione seria; in secondo luogo e più in generale, quanto dobbiamo cedere sui principi di libertà in nome della sicurezza.
 
La mia risposta alla prima domanda è inequivoca: non siamo al cospetto di una guerra santa e perciò non c’è bisogno di fare crociate di nessun genere. Le ragioni a favore della mia tesi sono diverse e si rinforzano reciprocamente. Innanzitutto, occorre distinguere nettamente tra cause arabe e cause islamiche del terrore: a mio avviso, le prime sono assai più robuste e evidenti delle seconde. Non c’è bisogno di un complesso ragionamento per rendersene conto. Saddam Hussein in Iraq, Assad di Siria, e Ben Alì in Tunisia sono stati leader anti-islamici ma crudeli e generatori di terrore, né più né meno dei leader islamici di cui ora abbiamo timore. La tesi è quindi che il pericolo viene più dal mondo arabo che dalla religione islamica. In secondo luogo, i morti a causa del terrorismo sono in stragrande maggioranza islamici. In terzo luogo, la più parte dei terroristi non si è mai occupata di questioni religiose ma proviene da esperienze di discriminazione e frustrazione (secondo una ricerca recente, e dall’esito curioso, sono perlopiù ingegneri).

Sulla seconda questione – cioè sul rapporto tra libertà e sicurezza - ho invece qualche dubbio in più. Il grande filosofo del diritto Ronald Dworkin sosteneva con vigore – nei giorni del Patriot Act e di Guantanamo - che non dobbiamo sacrificare la libertà alla paura. Perché c’è poco dubbio che delle quattro famose libertà invocate da Roosvelt e adottate dal Patto Atlentico, sarebbe a dire libertà di opinione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura, sia proprio l’ultima che in questi anni è stata messa a rischio più di ogni altra. Cosa che genera una forte richiesta di sicurezza e per conseguenza la richiesta “schmittiana” (dal nome di Carl Schmitt, illustre giurista pubblico nazista) di richiedere lo Stato di eccezione per consentire al sovrano di limitare i diritti civili degli individui. Contro questa volontà si batteva, e giustamente, il liberale Dworkin. Ma qui il problema nasce dal fatto che all’aumentare dei rischi corrisponde una diffusa, e del tutto comprensibile, domanda politica di tutela e protezione. E che questa domanda può sfociare in provvedimenti legislativi tesi a limitare i diritti civili delle persone. Ed è difficile dire quanto un esito del genere sia giustificabile. Probabilmente, si tratta di una questione di limiti. Nessuno di noi se la sentirebbe di lamentare la perdita dei diritti civili se ti perquisiscono in aeroporto. Ma l’imprigionamento preventivo dei sospetti prima dei grandi eventi pubblici susciterebbe di certo proteste e risentimento.

Ora la questione che abbiamo posto dall’inizio gira attorno all’intersezione tra le due domande che abbiamo discusso. In maniera che si potrebbe così sintetizzare: quando possiamo limitare la libertà dei cittadini arabo-islamici in caso di eventi che mettano a rischio la sicurezza pubblica? Il politicamente corretto a oltranza risponderebbe «mai». Il politicamente aggressivo di turno risponderebbe, per conquistare consensi, «sempre». La persona sensata infine cercherebbe di vedere caso per caso e di difendere i diritti civili fin dove è possibile. Che guarda caso coincide abbastanza con quanto ha dichiarato dopo i fatti uno che di religioni se ne intende, sarebbe a dire Papa Francesco.
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