Ma restano i nodi Libia e Siria: «Rischiano di far saltare tutto»

Ma restano i nodi Libia e Siria: «Rischiano di far saltare tutto»
di Marco Conti
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Giovedì 24 Settembre 2015, 06:27 - Ultimo aggiornamento: 08:35
BRUXELLES - «Un buon successo, seppur con tre mesi di ritardo, ma non è finita qui». Matteo Renzi lascia nella notte Bruxelles dopo un Consiglio Europeo servito per rimettere insieme le lacerazioni del giorno prima. Il voto a maggioranza sulla ripartizione dei migranti è un altro successo che il presidente del Consiglio rivendica a bassa voce. I trattati lo prevedono sulla materia, ma non era ancora contemplato dalla regole non scritte del bon ton comunitario. Soprattutto si è trattato del primo voto a maggioranza su una questione che attiene alla sovranità di ogni singolo paese. Comunque sia per Renzi «è finita l'Europa dei veti».

Ne sa qualcosa l'ombroso premier sloveno Robert Fico che Gianni Pittella, presidente dei socialisti europei, ha sospeso dal gruppo mandando in questo modo un segnale ai cugini del Ppe che non hanno fatto altrettanto, con il primo ministro ungherese Viktor Orban, solo perché quest'ultimo si è precipitato a dire che sosterrà il piano europeo. Resistono i premier di Polonia e Repubblica Ceca che minacciano ricorsi presso l'Alta Corte di Giustizia europea.



I NODI

Al summit serale non si parla però di numeri, ma delle misure che dovrebbero contenere l'esodo. I soldi che mette sul piatto Juncker sono tanti, ma difficilmente riusciranno a trattenere le migliaia di migranti nei campi di Turchia, Libano e Giordania. Renzi, accompagnato a Bruxelles dal sottosegretario Sandro Gozi, stavolta sta al «gioco» comunitario «perché solo tre mesi fa parlavamo di come dividere 40 mila profughi e oggi siamo già a 120 mila». «Importante è la politica, non i numeri», ma l'Italia non è riuscita a spuntare un meccanismo permanente di ripartizione. Un «passettino» alla volta, perché - anche se il documento finale non lo dice - il trattato di Dublino per Renzi «non c'è più» e i migranti che arrivano non è detto debbano restare nel paese di prima accoglienza. Quando Renzi prende la parola si rivolge prima all'ungherese Orban («l'Europa è nata per abbattere muri non per costruirli»), e poi alla polacca Kopacz («quando c'era la questione dell'idraulico polacco l'Europa non si è fermata, si è fatta carico di unire non di chiudere»). Renzi incalza: «Le immagini dei bambini morti che vi hanno commosso noi italiani le abbiamo viste per mesi tutti i giorni». Si discute anche di guardia costiera e polizia di frontiera europea. «La realtà è più forte dei documenti di Bruxelles» aveva ammonito il premier italiano prima di entrare nella riunione e poco prima di beccarsi anche lui, dopo Silvio Berlusconi, un pat-pat (stavolta sulla spalla) dall'ineffabile Juncker che poi abbraccia e bacia.



LE CRISI

La realtà che i Ventotto affrontano a cena è però quella che racconta Federica Mogherini. L'Alto rappresentante europeo per la politica estera fa il punto sulle situazioni di crisi dalla cui soluzione dipende buona parte dell'emergenza-migranti. «Se siamo in questa situazione è per operazioni di politica estera discutibili», attacca con fare poco diplomatico Renzi rinviando alle operazioni in Libia e Siria. È su queste due crisi colossali che il piano Juncker rischia di naufragare ed è per questo che alla fine l'attenzione dei Ventotto è tutta per il vertice che Obama ha convocato per la prossima settimana a New York a margine dei lavori delle Nazioni Unite. Senza un massiccio dispiegamento di soldati impegnati in operazioni di peacekeeping sarà infatti difficile preservare l'intesa che i Libia sta raggiungendo l'inviato dell'Onu, Bernardino Leon. Così come senza un segnale univoco da Washington sulla vicenda siriana è complicato per l'Europa organizzare programmi di accoglienza e iniziative di cooperazione per frenare i flussi.