Macron non addolcisce nulla della sua diagnosi sulla congiuntura che attraversa l’Europa, anzi affila i toni, guarda diritto al fondo oscuro di una crisi che sta rimettendo in discussione tutto ciò che appariva consolidato. Nel momento più teso del suo discorso egli parla di una guerra civile strisciante che attraversa il continente, e il suo sguardo si volge al cono d’ombra che sembra crescere dappertutto, riducendo vecchie certezze di vita, e l’assillo principale sembra la pressione che le grandi democrazie dispotiche e illiberali, le quali dominano una parte del mondo, stiano operando fin dentro i confini d’Europa, contribuendo a modificare la sua mente collettiva, la mente di quella Europa che si andava unificando. Egli ha il coraggio di dire che la democrazia rappresentativa in Europa sta correndo rischi mortali e che si è giunti al momento in cui si deve prendere coscienza dell’entità di questo problema. Elenca i grandi temi sul tappeto, da Brexit all’immigrazione, alla riforma della zona-Euro, e richiama la necessità di una sovranità europea.
In realtà noi siamo in una fase di disintegrazione politica della dimensione sovranazionale che ha appartenuto alle entità statali che formano l’Europa. Come si è giunti a questo punto? Ecco l’interrogativo pungente. E dunque non basta richiamare le grandi idee che hanno formato la coscienza della civiltà europea. Non basta rimettere in fila le sue conquiste di civiltà. No, questo è necessario, vitale per rimettere in campo la coscienza di una civiltà, ma non basta più. E porrei il problema così: o la sovranità europea, finalmente richiamata, riesce a trascinare nei suoi nuovi, e si potrebbe dire inediti, confini, la forza vitale delle democrazie politiche degli stati, oppure il cono d’ombra della crisi si avviterà su se stesso, facendo dell’Europa una realtà scissa, marginale, priva di influenza sui destini del mondo. Noi siamo giunti vicini a questo punto, ecco l’importanza cruciale del discorso di Macron. E’anche una sfida agli altri leader europei e soprattutto a quelli che parlano la lingua interna alla crisi che ha una sua innegabile forza, ma anche, spesso, una sua rozzezza primordiale .La parola, che è già politica, deve tradursi in più intensa realtà, misurare se stessa con le tragiche contraddizioni del nostro termpo. Tempi difficili, ma anche affascinanti ci attendono. E’ nientemeno il pensiero che batte alle porte, sono le idee che tornano in campo.
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