L’Isis e le minacce natalizie, un segnale di debolezza

di Fabio Nicolucci
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Sabato 26 Dicembre 2015, 23:51
Essendo un progetto politico globale, l’Isis non ha voluto mancare l’appuntamento con il Natale della Cristianità, ed ha fatto sentire la sua voce con un suo messaggio “urbi et orbi”. Un messaggio che dovrebbe nelle intenzioni far sentire al mondo la forza del progetto jihadista, anche in questa circostanza. Ma per molte ragioni, invece che incutere terrore e annichilire la nostra celebrazione del messaggio di speranza contenuto nella celebrazione del Natale, esso è per noi conferma della giustezza della via intrapresa nella lotta all’idra dell’Isis, e quindi di conforto e speranza sulla sua possibile anche se ancora lontana sconfitta. Già il modo con cui è avvenuto, un breve messaggio audio da un account di twitter invece che un raffinato e ben costruito video, indica una estemporaneità nella sua redazione che lascia per altro aperti tutti i dubbi sulla conferma della sua attribuzione al califfo al-Baghdadi, di cui molte volte si è proclamata l’uccisione, ma che in effetti dall’ultimo episodio in cui si è compiuta un operazione contro di lui lo scorso ottobre non è più ricomparso in corpore vili. Ma è soprattutto la scelta di far sentire comunque la propria voce ad indicare una implicita paura di essere sulla difensiva e quindi la volontà di smentirla. Da Parigi in poi, infatti, le cose stanno cambiando.



E quella che fino ad allora era una coalizione internazionale solo nominale e che conduceva discontinui raid inefficaci quanto roboanti, adesso sta invece focalizzando i suoi obiettivi politici. E, di conseguenza, lo strumento militare è più efficace e capace di incidere. In primo luogo, è l’occidente ad avere messo sul tavolo internazionale – anche con quelle potenze sunnite che hanno contribuito a far nascere l’Isis in funzione anti sciita – la sua volontà politica che fosse necessario cambiare passo nella lotta ai terroristi. Il messaggio era chiaro, e sia l’Arabia Saudita sia il Qatar sia il Kuwait hanno dovuto adattarsi al mutato scenario, dai margini più stretti. E seppur con la recente proclamazione di una alleanza antiterrorismo contro l’Isis esclusivamente composta da paesi islamici – un controsenso in termini sia militarmente sia soprattutto politicamente – hanno preso le distanze in modo effettivo. Anche la dichiarazione del governo italiano di voler inviare propri soldati a guardia della strategica diga di Mosul, per quanto debba essere decisa dal Parlamento, ha contribuito a far mutare il clima che conta, soprattutto nella lotta al terrorismo: quello della pubblica opinione. Sia interna, sia soprattutto araba e sunnita.

Quella che se è inerte o connivente fa sentire i terroristi più forti e impuniti, e se invece è distante e contrapposta li fa sentire più soli e demotivati. Un cambiamento di umore innescato anche dall’intervento russo in Siria, malgrado gli esiti ancora contraddittori, soprattutto per la sua focalizzazione sui nemici di Assad più che sull’Isis, come dimostra anche l’uccisione del capo di Jaish al-Islam (“l’esercito dell’Islam” in arabo, ndr). Tutti questi fattori, ponendo l’Isis al centro della tavola diplomatica internazionale, hanno così mutato la percezione della questione, dando più fiducia anche a coloro che già lo combattevano, come i peshmerga curdi – che devono adesso trovare una composizione e maggiore unità d’azione tra tutte le loro componenti – e come soprattutto l’esercito iracheno regolare. Facendo anche sentire una discreta pressione internazionale affinché esso isoli le milizie sciite più compromesse con un comportamento settario e truce sul terreno. Compresi sgozzamenti e roghi di arsi vivi per rappresaglia nelle zone sunnite, finora taciuti dalla comunità internazionale ma non meno dannosi per la lotta all’Isis dell’inerzia precedente, perché impauriscono i sunniti iracheni e li ricacciano nelle braccia dell’Isis da cui danno timidi segni di volersi staccare.

Proprio grazie a questo mutamento di clima, innescato dall’inizio di un serio esercizio della diplomazia come propedeutica ad uno efficace della forza militare, è stato possibile per l’esercito iracheno porsi credibilmente l’obiettivo strategico della riconquista di Ramadi, che sarà sanguinosa ma che resta possibile. Un nuovo inizio che ha preso abbrivio con le stragi di Parigi, la cui enormità ha messo ciascuno di fronte alle propri responsabilità, ma a cui lavoravano alcuni paesi anche da prima, tra cui l’Italia. Che non a caso ha lavorato con tenacia sullo stesso solco, usare prima l’aratro della diplomazia e poi eventualmente lo strumento militare e non viceversa, per quanto riguarda la Libia. Un metodo che in questo teatro, malgrado gli scetticismi – spesso giustificati – sta dimostrando di poter ottenere una semina e forse un raccolto. Un metodo temuto dall’Isis, come dimostra questo messaggio natalizio. Un motivo in più per usarlo con sempre maggiore convinzione e tenacia anche nei prossimi mesi.
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