E quella che fino ad allora era una coalizione internazionale solo nominale e che conduceva discontinui raid inefficaci quanto roboanti, adesso sta invece focalizzando i suoi obiettivi politici. E, di conseguenza, lo strumento militare è più efficace e capace di incidere. In primo luogo, è l’occidente ad avere messo sul tavolo internazionale – anche con quelle potenze sunnite che hanno contribuito a far nascere l’Isis in funzione anti sciita – la sua volontà politica che fosse necessario cambiare passo nella lotta ai terroristi. Il messaggio era chiaro, e sia l’Arabia Saudita sia il Qatar sia il Kuwait hanno dovuto adattarsi al mutato scenario, dai margini più stretti. E seppur con la recente proclamazione di una alleanza antiterrorismo contro l’Isis esclusivamente composta da paesi islamici – un controsenso in termini sia militarmente sia soprattutto politicamente – hanno preso le distanze in modo effettivo. Anche la dichiarazione del governo italiano di voler inviare propri soldati a guardia della strategica diga di Mosul, per quanto debba essere decisa dal Parlamento, ha contribuito a far mutare il clima che conta, soprattutto nella lotta al terrorismo: quello della pubblica opinione. Sia interna, sia soprattutto araba e sunnita.
Quella che se è inerte o connivente fa sentire i terroristi più forti e impuniti, e se invece è distante e contrapposta li fa sentire più soli e demotivati. Un cambiamento di umore innescato anche dall’intervento russo in Siria, malgrado gli esiti ancora contraddittori, soprattutto per la sua focalizzazione sui nemici di Assad più che sull’Isis, come dimostra anche l’uccisione del capo di Jaish al-Islam (“l’esercito dell’Islam” in arabo,
Proprio grazie a questo mutamento di clima, innescato dall’inizio di un serio esercizio della diplomazia come propedeutica ad uno efficace della forza militare, è stato possibile per l’esercito iracheno porsi credibilmente l’obiettivo strategico della riconquista di Ramadi, che sarà sanguinosa ma che resta possibile. Un nuovo inizio che ha preso abbrivio con le stragi di Parigi, la cui enormità ha messo ciascuno di fronte alle propri responsabilità, ma a cui lavoravano alcuni paesi anche da prima, tra cui l’Italia. Che non a caso ha lavorato con tenacia sullo stesso solco, usare prima l’aratro della diplomazia e poi eventualmente lo strumento militare e non viceversa, per quanto riguarda la Libia. Un metodo che in questo teatro, malgrado gli scetticismi – spesso giustificati – sta dimostrando di poter ottenere una semina e forse un raccolto. Un metodo temuto dall’Isis, come dimostra questo messaggio natalizio. Un motivo in più per usarlo con sempre maggiore convinzione e tenacia anche nei prossimi mesi.
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