Difficile non condividere: è quel che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Senza neppure il bisogno di andare a scomodare un politico o un generale, basta fare due chiacchiere con un medico, alle prese con pazienti che si fanno la diagnosi da soli, armati di una ricerca su Google e di un po’ di autosuggestione. O con un qualunque esperto di qualsiasi materia, sempre esposto al rischio di una contestazione da social network. Come se fosse tutto uguale. E un dottorato in fisica nucleare avesse lo stesso valore di una ricerca di dieci minuti su Wikipedia.
Rappresenta un problema, una situazione del genere? Direi di sì. Specie per i detentori dell’autorità. Che non sono solo parassiti malfattori, ma tutti coloro i quali hanno studiato, accumulato esperienze e competenze e ritengono, a giusto titolo, di meritare un po’ di rispetto in più, per se stessi e per le opinioni che esprimono.
Detto ciò, non ne farei una tragedia. Una sana diffidenza nei confronti dei giudizi che arrivano dall’alto, che siano i vertici delle istituzioni o le cattedre dei professori, è prima di tutto un segno di vitalità e un utile antidoto contro gli abbagli ideologici: la storia ci insegna che i leader, gli esperti e gli intellettuali prendono cantonate né più né meno quanto le masse che pretendono di guidare.
Inoltre a me non sembra che ad essere rimessa in discussione sia l’autorità in quanto tale. Ho piuttosto l’impressione che sia cambiato il metro di giudizio. Se, un tempo, le persone erano disposte a farsi spiegare il mondo da qualcun altro, oggi si fidano soprattutto della propria esperienza diretta. I media - e i social media - sono uno specchio che ci rimanda continuamente il nostro riflesso, valorizzato e ingigantito. In un contesto del genere, le voci autorevoli esistono ancora, ma sono sullo stesso piano di altre voci, più comuni, che hanno il merito di essere più vicine a ciascuno di noi. Come una timeline di Twitter dove le opinioni dei massimi esperti si alternano con quelle del compagno di banco del liceo.
Il risultato è una conversazione un po’ meno educata e un po’ più inclusiva. Nella quale l’autorevolezza non è scomparsa, ma va riconquistata sul campo ogni giorno e nessuno è più disposto ad andar dietro ad una teoria in contrasto con la realtà che tocca con mano. Sarà anche una prospettiva limitata. Anzi, lo è certamente. Però ha dalla sua il merito del buonsenso.
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