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L'imputato era accusato di aver truffato il suo datore di lavoro, presentando diciotto certificazioni relative a malattie inesistenti.
La Cassazione sottolinea che i giudici di secondo grado avevano rilevato «che erano state effettuate circa 45 visite domiciliari senza che l'imputato venisse trovato in casa per sottoporsi alla verifica delle patologie vantate, tale circostanza veniva ritenuta incompatibile con la malattia invalidante che, secondo quanto certificato, avrebbe impedito a Giuseppe B. di recarsi al lavoro». Per la Cassazione, tale conclusione «è priva di vizi logici» ed è «coerente» con quanto è emerso nel corso del processo.
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