Dell'Utri, due passaporti e trentamila euro. Ma spunta l’idea di rimpatriare

Dell'Utri, due passaporti e trentamila euro. Ma spunta l’idea di rimpatriare
di Valentina Errante e Sara Menafra
3 Minuti di Lettura
Domenica 13 Aprile 2014, 09:29 - Ultimo aggiornamento: 09:39
ROMA Ai piani alti del Viminale, nessuno si particolarmente preoccupato quando due giorni fa finita sui giornali la notizia che Marcello Dell’Utri aveva lasciato l’Europa diretto chiss dove. Perch in tutti questi giorni, da quando il 24 marzo l’ex senatore ha preso un aereo da Parigi diretto a Beirut, i suoi movimenti sono stati monitorati attentamente. Con una operazione coordinata dalla Dia, la polizia italiana, in collaborazione con quella libanese, l’ha tenuto costantemente sotto controllo. E l’arresto di venerdì notte all’hotel Phoenicia Intercontinental è avvenuto tutto sommato senza problemi anche perché Dell’Utri aveva lasciato parecchie tracce del proprio passaggio a cominciare dal fatto che alloggiava con una stanza a proprio nome registrata col passaporto italiano e ha costantemente usato le carte di credito. Nei giorni scorsi ha persino ricevuto la visita del figlio, proveniente dall’Italia, e ampiamente notato nei passaggi alle frontiere aeroportuali.



I DOCUMENTI

La domanda più difficile a cui rispondere è che cosa ci facesse il fondatore di Forza Italia a Beirut a quattro giorni dalla sentenza in Cassazione che dovrà decidere se confermare oppure no la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Se intendesse davvero tornare a Roma in tempo per martedì prossimo, sperasse di restare in Libano anche dopo la condanna magari grazie ai fortissimi rapporti politici che ha nel paese, o se dalla città per eccellenza più eclettica del Medio Oriente pensasse di spostarsi altrove. L’unica cosa certa è che nella sua stanza, la polizia ha trovato due passaporti intestati a lui, quattro telefonini e ben trentamila euro in contanti, confezionati in una mattonella di bigliettoni da 500 euro che sembra fatta a posta per sfuggire ai controlli della frontiera. Insomma, quanto basta per decidere di lasciare anche il Libano appena fosse diventato necessario.



IL NODO ESTRADIZIONE

E’ vero però che a questo punto per l’Italia potrebbe non essere così facile ottenere l’estradizione da Beirut. E che Dell’Utri ha ottimi rapporti ai massimi livelli dell’amministrazione libanese oltre ad affari legati alla coltivazione dei cedri, forse gli stessi che sperava che lo tutelassero evitando l’arresto prima della sentenza. Ieri pomeriggio, il ministro della giustizia Andrea Orlando è rientrato a Roma per firmare la richiesta di estradizione vincolata alla sentenza che sarà pronunciata martedì prossimo. Lunedì le autorità giudiziarie libanesi decideranno solo sul fermo cautelare, ma per le mosse successive la partita sarà un’altra: il trattato di mutua collaborazione tra l’Italia e il Libano, firmato nel 1970, non entra nel merito del principio di doppia incriminazione, cioè non chiarisce che succede quando, come un questo caso, il paese richiedente punisce un reato che nel ricevente non esiste. L’associazione mafiosa, che c’è solo in Italia, negli stati di diritto francese è spesso assorbita dall’«associazione dei malfattori», ma il concorso esterno è tutt’altro affare. Insomma, se è vero che il trattato lascia ampi margini e non pone ostacoli iniziali, la partita è tutta da giocare e potrebbe essere anche molto lunga. «Studieremo la strada», aveva detto ieri mattina il pg di Palermo Luigi Patronaggio: «È stato così anche per il boss Vito Roberto Palazzolo, da anni residente in Sudafrica e poi beccato in Thailandia».



LE ALTERNATIVE

Nessuno scenario è definitivamente chiuso. Anzi c’è chi fa notare che non sarebbe affatto sorprendente che martedì, al momento della sentenza, l’ex senatore decidesse semplicemente di tornare in Italia senza nessun braccio di ferro. Da ieri mattina è in una camera di sicurezza nella super fortificata sede della Direzione generale delle forze di sicurezza interne. Ieri sera ha parlato a lungo al telefono col suo avvocato, Giuseppe De Peri, col quale ha concordato la strategia difensiva per martedì e la scelta di un legale libanese che seguirà il procedimento a Beirut. Probabilmente, solo dopo la decisione della Cassazione, si capirà davvero cosa vuol fare il senatore.