Intanto Nicola Zingaretti viene descritto come una quinta colonna di M5S, semplificazione dirimpettaia di quella secondo cui Minniti sarebbe il burattino dell'ex rottamatore. Ormai questo è il clima congressuale: tutti sospettano di tutti. E Zinga ha lanciato il suo anatema sul renzismo: «Non si deve tornare indietro commettendo gli errori del passato. Bisogna aprire un campo nuovo». Nicola è il figgicciotto sostenuto da Franceschini, da Gentiloni e da tanta Margherita. C'è chi dice di lui: «Il problema di Zingaretti non è che sposta a sinistra il Pd, il che sarebbe legittimo, ma che lo porta a una melassa genericamente di sinistra». Magari con Bersani, la Boldrini e Grasso e chissà forse pure D'Alema che però pare stia tifando riservatamente - magari è una balla - per il suo ex Lothar, cioè Minniti.
Zingaretti teme che se non vince le primarie, al congresso la tenaglia Minniti-Zingaretti possa stritolarlo.
Per evitare questa brutta fine, il suo obiettivo è superare la quota del 50 per cento nei gazebo. Perciò vuole primarie aperte - a tutti e senza pagare neppure i 2 euro a carico di ogni partecipante - per non essere impallinato dalle truppe cammellate (ma il Pd ha ancora truppe e cammelli?) dei suoi due sfidanti. Zinga viene considerato un candidato forte nell'Italia centrale, ma nelle altre parti del Paese è un'incognita. Di solito però lui le gare elettorali le vince, anche se non ha una narrazione brillante. Non vuole trasformare il Pd nel Pds ma i suoi avversari pensano di sì.
© RIPRODUZIONE RISERVATA