Elezioni, Zingaretti e Di Maio vice: il nuovo incubo di Conte

Zingaretti e Di Maio vice, il nuovo incubo di Conte
di Marco Conti
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Martedì 22 Settembre 2020, 00:57 - Ultimo aggiornamento: 16:23

«Conte non commenta i risultati», fanno sapere da palazzo Chigi. Anche perché dopo aver evitato per settimane di infilare la testa dentro la tagliola delle urne, il presidente del Consiglio aspetta di capire come Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio intendano spendere il “capitale” raccolto nelle urne. Un giro di telefonate Conte lo ha fatto ieri pomeriggio chiamando al telefono sia il segretario del Pd che il ministro degli Esteri. Non aver messo la faccia sul voto - esclusa una timida dichiarazione in favore del Sì - se ha evitato a Conte tutti i rischi legati ad una possibile sconfitta, per la legge del contrappasso che regola anche i momenti elettorali, gli impedisce di intestarsi un successo che ora può vivere solo di riflesso.

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Il risultato del referendum e delle elezioni regionali blindano il governo perchè la vittoria del Sì rafforza Luigi Di Maio e quella alle regionali il segretario dem, ma indebolisce il premier il quale per tutta la fase dell’emergenza sanitaria ha lavorato per irrobustire la sua leadership che aveva infatti preso il largo rispetto ai due leader dei partiti di maggioranza. Si torna invece alla dimensione post Papeete, quando Conte evitò il trasloco da palazzo Chigi grazie all’intesa che Di Maio e Zingaretti raggiunsero dietro la spinta di Matteo Renzi. I risultati di ieri rafforzano ora i partiti. Di Maio, dopo aver messo in crisi la linea Di Battista, potrà ora guidare la definizione degli assetti interni al M5S con gli stati generali che potrebbero tenersi a breve. Riprendersi il Movimento, e portarlo sulla strada delle alleanze, significa per Di Maio azzerare anche le aspirazioni di Conte a porsi come unico elemento di raccordo tra 5S e Pd.
La vittoria in Toscana mette a tacere le aspirazioni di quanti nel Pd lavoravano per una nuova leadership e per una linea del partito diversa da quella del segretario Zingaretti.

Sul tavolo di palazzo Chigi potrebbe a breve arrivare quella richiesta di tagliando che i dem hanno chiesto con forza prima delle elezioni e che la pattuglia 5S al governo non disdegna. Un ridefinizione del programma che potrebbe portare anche a qualche avvicendamento. Nel Pd gli appetiti non mancano, ma una “rivoluzione” nell’esecutivo sembra complicata a meno che non si voglia di fatto un Conte-ter che però dovrebbe passare al vaglio del Quirinale e del Parlamento. Malgrado il diretto interessato continui a negare, nel Pd si dà per certo l’ingresso dello stesso Zingaretti che potrebbe ricoprire un ruolo da vicepremier obbligando di fatto anche i 5S a pretendere altrettanto ruolo magari con lo stesso Di Maio. Se così andrà si tornerà a votare nella regione Lazio in contemporanea con il sindaco di Roma e ciò potrebbe agevolare un’intesa dem-grillini.

Anche se non si dovesse ripetere del tutto lo schema del Conte1, con il presidente del Consiglio “circondato” da esponenti dei due partiti più forti, la stagione del premier-mediatore potrebbe volgere al termine proprio per la volontà di Zingaretti e di Di Maio di rendere strutturale l’alleanza anche attraverso la legge elettorale sulla quale ora i dem chiedono di stringere. Il ministro degli Esteri si è intestato in toto la vittoria al referendum e, liquidando il dato regionale («potevano essere organizzate diversamente»), proietta il M5S verso un’intesa con il Pd per il voto amministrativo del 2021.

Gli ostacoli non mancheranno anche per la presenza nell’esecutivo di Iv e Leu, ma sull’asse Di Maio-Zingaretti correranno - al pari di un ottimo lubrificante - i miliardi del Recovery fund. Il braccio di ferro tra palazzo Chigi e Mef è in corso ed è rimasto sinora più o meno sottotraccia, ma i dem vogliono che la cabina di regia della spesa venga affidata al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Più dei decreti sicurezza e del Mes, la partita si gioca ora sui 209 miliardi di euro. Lo ha compreso Matteo Salvini che ieri sera ha chiesto al premier di essere coinvolto nel tentativo, forse tardivo, di sbarrare la strada a Luca Zaia che potrebbe trattare in proprio e, magari, non solo per il Veneto. Ridimensionare il ruolo di palazzo Chigi nella gestione delle ingenti risorse messe a disposizione dall’Europa, sia con il Recovery che con il Mes, per costruire il perno dell’alternativa alla destra sovranista ed antieuropea. Il tempo a disposizione non è molto. I governatori, e non solo a destra, scalpitano.
 

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