Flussi delle elezioni regionali Lazio e Lombardia, il partito dell’astensione è maggioranza assoluta

In Lombardia affluenza ferma al 41,67%, il Lazio fa ancora peggio con il 37,19%

Flussi delle elezioni regionali Lazio e Lombardia, il partito dell’astensione è maggioranza assoluta
di Giovanni Diamanti
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Martedì 14 Febbraio 2023, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 12:59

Il voto regionale in Lazio e Lombardia è stato netto, più del previsto, e ha chiaramente premiato il centrodestra a guida Fratelli d’Italia. Non può essere archiviato come “voto locale”: in primo luogo perché le elezioni regionali sono un voto più politico e meno amministrativo rispetto alle comunali, e in secondo luogo perché si tratta delle prime due regioni italiane per numero di abitanti, con la capitale politica e la capitale economica a rappresentarne i capoluoghi. Per queste stesse ragioni, tuttavia, il dato tragico di affluenza dovrebbe essere un segnale preoccupante per tutte le forze politiche, senza distinguo di sorta. Mai avevamo assistito a un voto regionale così poco partecipato: se la tendenza viene da lontano, i risultati di questa tornata elettorale sono particolarmente preoccupanti.

Ma andiamo con ordine, partendo dal vero, grande vincitore dell’elezione di oggi: il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, è sempre più il partito timone della coalizione di centrodestra (e il primo partito del Paese), e i dati regionali confermano questo primato.

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I TIMORI

Sempre nel centrodestra, tuttavia, festeggiano anche Forza Italia e Lega. Il timore di essere prosciugati dai Fratelli d’Italia per i due partiti era forte, invece la Lega cresce rispetto alle Politiche di pochi mesi fa in entrambe le regioni, e anche il partito berlusconiano esce a testa alta.
Sul fronte dell’opposizione, invece, i partiti escono complessivamente indeboliti.

Il Partito Democratico tiene più degli altri nel voto di lista, ma perde il Lazio, dove governava da dieci anni. Il Terzo Polo ottiene un risultato modesto, attorno al 4%, nel Lazio, dove aveva giocato la carta dell’alleanza con il centrosinistra, ma esce indebolito anche dal risultato lombardo, nel quale aveva investito molto con una candidata di peso come Letizia Moratti, che tuttavia non va oltre il dato ottenuto dai centristi alle Politiche.

Anche i 5 Stelle arretrano, confermando ancora una volta la tendenza che li vede in difficoltà nelle tornate regionali e amministrative. Abbiamo visto un centrosinistra in due versioni: quella giallorossa incarnata da Majorino, e quella centrista, che ha visto nel Lazio la candidatura di D’Amato. Nessuna delle due ha portato ai risultati sperati. Non sembra però un problema dei candidati, quanto un problema strategico: in una competizione a turno unico, come le regionali, il centrosinistra diviso non può essere competitivo contro un centrodestra unito.

I GIOVANI

In Lombardia, Fontana trionfa nelle province, mentre Majorino può consolarsi con il voto dei giovani, tra i quali sarebbe la prima scelta. Ma in entrambe le regioni, i candidati del centrodestra sono in testa in tutte le province.
Ad ogni modo, il dato dell’affluenza, pur aiutato dal voto in due giorni, dovrebbe allarmare chiunque. Nel Lazio, a fronte del 66,6% delle regionali scorse, quest’anno ha votato solo il 37,2%: il peggior dato di sempre. L’affluenza è particolarmente negativa nella Capitale, dove regge un po’ di più solo il voto nei primi tre municipi. E non va molto meglio in Lombardia: il 41,7% è il terzo peggior risultato di affluenza nella storia delle regionali in Italia, con picchi negativi a Mantova, Sondrio, Pavia, Varese. Solo pochi mesi fa, in occasione delle elezioni politiche, in Lombardia si era superato il 70% di affluenza, cinque anni si raggiunse il 73,1%.

Non si può dire che l’astensionismo abbia colpito solo una parte politica, considerando che i rapporti di forza rispetto al voto politico di pochi mesi fa non sembrano variare troppo: siamo di fronte a una disillusione politica dilagante e trasversale, che colpisce anche regioni con un tasso di affluenza al voto storicamente molto elevato.

LA DISAFFEZIONE

Il dato di partecipazione al voto complessivo è così basso che rende difficile qualunque analisi elettorale: gli astenuti non sono più solo il primo partito, ma la stragrande maggioranza dei cittadini. Con un simile livello di disaffezione, le elezioni diventano una sorta di sfida a motivare i propri elettori fidelizzati più che un rito democratico.

In conclusione, non è stato per Giorgia Meloni un voto di mid-term, ma una prova parziale avvenuta in una fase di “luna di miele” non ancora archiviata. Non c’è dubbio che sia stata brillantemente superata, ma un simile dato di affluenza dovrebbe lasciare l’amaro in bocca a tutti.

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