Arnaldo Forlani, Casini: «Un anti-leader. Previde la fine della Dc»

Il ricordo dell’ex presidente della Camera: «Subì umiliazioni ingiuste»

Arnaldo Forlani, Casini: «Un anti-leader. Previde la fine della Dc»
di Francesco Bechis
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Sabato 8 Luglio 2023, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 00:03

Un uomo delle istituzioni, Arnaldo Forlani, ex premier, ministro e segretario della Dc scomparso a Roma giovedì a 97 anni, non è mai stato davvero «un uomo di potere». Pier Ferdinando Casini, senatore e già presidente della Camera, ricorda i suoi anni al fianco dello statista democristiano. 

Cosa resta di Forlani?

«La sua testimonianza umana. Un uomo che non si è mai esaltato quando è stato ai vertici del potere e non si è mai depresso quando ha accettato ingiuste umiliazioni. Ha saputo attraversare con dignità tempi belli e meno belli, ha sempre avuto come bussola la sua fede cristiana. E anche un senso di autoironia e del limite tipico delle persone intelligenti». 

Ha avuto tanti soprannomi, ci ha riso sopra. Era un “coniglio mannaro” o “una tigre che dorme”?

«Più un coniglio mannaro, era anche un uomo che graffiava quando voleva. Non era accondiscendente, ragionava con gli altri ma piantava paletti molto chiari. Sull’alleanza con i partiti laici e il rapporto con i socialisti è stato inflessibile, al punto da candidarsi contro De Mita come segretario della Dc. Coltivava rispetto per gli avversari, da Napolitano a Jotti, da Chiaromonte a Berlinguer». 

La condanna nel processo Enimont ha segnato la sua parabola politica.

«Ricordo bene la sua deposizione al processo Enimont: in termini tecnici fu pessima.

Quella mattina si era sentito male, aveva preso i farmaci per la pressione, ma per rispetto delle istituzioni non volle rinviare». 

C’è chi ha visto in Forlani un capro espiatorio della Dc durante Tangentopoli. 

«Paradossalmente ha pagato la persona che non ha mai approfittato di posizioni di potere né avuto dimestichezza con il denaro. Forlani ha bevuto il calice amaro e lo ha fatto con grandissimo decoro». 

Con quel processo calò il sipario su un’era. 

«La Prima repubblica era già tramontata con la caduta del muro di Berlino, Mani Pulite è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il potere logora chi ce l’ha, la Dc e i partiti di governo sono arrivati logorati a un appuntamento con la storia che li aveva già preceduti». 

Nessuno l’aveva previsto?

«Due persone prima degli altri: Cossiga e Forlani. Il primo reagì picconando, il secondo pensava fosse possibile una transizione più morbida. Forlani aveva però capito che un capitolo si stava chiudendo e me lo confidò».

 

Quando?

«Quando passò la legge elettorale maggioritaria mi disse: “Senza proporzionale la Dc non può esistere”. Su quel vecchio sistema si basava l’unità politica dei cattolici».

Con Craxi Forlani si capiva, con Andreotti furono gli assi del “CAF”.

«Ma erano molto diversi. Rispetto a Craxi e De Mita Forlani era l’antileader per eccellenza. In questo era davvero primo-repubblicano, il volto di un’epoca in cui i partiti non erano apparati leaderistici ma grandi espressioni popolari».

Forlani previde e forse perfino accolse la discesa in campo di Silvio Berlusconi.

«Erano amici, in qualche modo Forlani lo stimava, lo aveva studiato negli anni precedenti. Ricordo quando mi inviò da Berlusconi per protestare perché le sue tv davano più spazio ai socialisti che alla Dc». 

Come finì?

«Mi ritrovai con il Cavaliere, Luciano Radi, Enzo Carra, Fedele Confalonieri e Gianni Letta a Via dell’Anima. Berlusconi disse che avrebbe provveduto, “ho anche delle zie suore”. E io: “Allora le faccia apparire in video!”».

Forlani ha governato anche senza stare al governo, da leader di partito. Una mezz’ala sul campo da calcio, in gioventù, come in politica. 

«Non è mai stato un uomo di potere. In una Dc in cui per molti il potere era un’ossessione, lui viveva l’impegno politico senza questo affanno, con disincanto».

Quasi indolente, a detta dei critici. Come quando accettò senza colpo ferire lo stop nella corsa al Quirinale, fermato dai veti interni alla Dc. 

«Di fronte a quei 29 franchi tiratori non si scompose. Conteggiammo i voti nella stanza del presidente del Consiglio a Montecitorio insieme ad Amato, poi lo riaccompagnai a casa, si mise a giocare col cane lupo nel giardino, a parlare dell’Inter, la sua grande passione. “Presidente, domani ritentiamo”. “Casini – mi rispose – la mia ora è passata”.

Un altro spartiacque per la Prima repubblica. 

«Da forlaniano, sono convinto che le epoche iniziano e finiscono naturalmente: non ci si può accanire contro la storia. Per questo ho sempre ritenuto deprimenti i tentativi ricorrenti di ricostruire la Dc. Si corre il rischio di diventare patetici». 

Storia chiusa?

«La storia della Dc resta un patrimonio comune a tutte le forze politiche. Una storia che traccia il meglio nell’esperienza di Forlani: amico di Helmut Kohl, grande atlantista, un uomo che ha lavorato per la pace. Quel seme è germogliato e trova oggi nel sostegno all’Europa, alla Nato, all’Ucraina aggredita uno dei suoi frutti più maturi».

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