Arnaldo Forlani, morto l'ex presidente del Consiglio ed esponente Dc: aveva 97 anni

A darne notizia il figlio Alessandro

Addio ad Arnaldo Forlani, l'ex presidente del Consiglio ed esponente Dc: aveva 97 anni
di Francesco Malfetano
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Giovedì 6 Luglio 2023, 22:56 - Ultimo aggiornamento: 8 Luglio, 08:31

Presidente del Consiglio e vice. Quasi Presidente della Repubblica nel 1992 (fu a 29 voti dall’elezione). Due volte segretario della Democrazia cristiana, tre volte ministro. Infine europarlamentare e, soprattutto, deputato ininterrottamente dal 1958 al 1994. La grandezza di Arnaldo Forlani non sta solo nei ruoli che ha ricoperto nella sua lunga vita, ma soprattutto nell’eredità politica che si è lasciato alle spalle. Forlani, con la sua compostezza spesso criticata, insegnava il senso relativo del potere e delle cariche. «Tutto è un’illusione ottica. Le cose importanti sono altre» lo ricorderà anni più tardi il suo collaboratore e allievo Pier Ferdinando Casini.
Per questo la morte dell’ultimo presidente della Dc, a 97 anni, dopo un lungo distacco dall’agone fa ancora notizia. Forlani si è spento ieri sera nella sua casa all’Eur, a Roma, circondato dall’affetto dei tre figli Alessandro, Marco e Luigi, lasciando il ricordo di una vita che Casini ieri ha riassunto così: «Ha servito la politica e non se ne è mai servito. Ha avuto grandi soddisfazioni nella sua vita pubblica e altrettante amarezze. Ha affrontato il tutto con una profonda fede cristiana e con una grande umanità». 

Arnaldo Forlani, chi era l'ex premier e segretario Dc: la lunga carriera politica del leader democristiano

Commosso l’addio del Capo dello Stato Sergio Mattarella: «Forlani è stata una personalità di spicco della Repubblica», che «ha contribuito all’indirizzo del Paese, alla sua crescita democratica, allo sviluppo economico e al consolidamento del ruolo italiano nel consesso internazionale: lascia un segno di grande rilievo nella storia repubblicana».

Mattarella ricorda poi la sua «fermezza delle posizioni», che «si univa in lui con stile di cortesia e con atteggiamento rispettoso con gli interlocutori anche di posizioni contrapposte». 

La lunga ascesa di Forlani, prima di restare incastrata in epiteti poco lusinghieri ma a lungo rappresentativi come “coniglio mannaro” o “tigre che dorme”, partì da una laurea in Giurisprudenza all’Università di Urbino, passò per una breve esperienza da calciatore in serie C e si avviò con lo slancio offerto dal suo padre putativo nella Dc: Amintore Fanfani. Dopo la gavetta da consigliere provinciale e comunale, Forlani entra in direzione nazionale, diventandone già nel 1962 vicesegretario e segretario tra il ‘69-‘73, forte anche di un’intesa con Ciriaco De Mita, che valse a entrambi il soprannome di “gemelli di San Ginesio” quando, in un convegno nell’omonimo paese marchigiano, i due allora quarantenni lanciarono una rottamazione generazionale interna. 
La sua segreteria fu caratterizzata dalla scelta della ‘’centralità’’ della DC, cioè dalla convinzione, mai abbandonata, del ruolo egemone della Democrazia cristiana e della sua radicale diversità dalle ali estreme dello schieramento politico. Al gennaio 1970 risale la stesura del “preambolo” che porta il suo nome e che Rumor introdusse nel programma del suo terzo governo. In esso era contenuto il proposito di estendere la formula di centrosinistra a tutte le amministrazioni locali, spingendo il Psi a interrompere in periferia la collaborazione con il Pci. Fu cioè il padre di un’intesa tra Dc e socialisti che a suo modo gettò le basi per il moderno centrodestra. 

 

Più volte ministro (Partecipazioni statali, Rapporti con le Nazioni Unite, Difesa e Esteri), costruì la sua carriera sulla capacità di «temperare i giudizi», incarnando a fondo l’animo di una Balena Bianca che tentò di preservare fino all’ultimo. Sia quando divenne l’ultima lettera del “Caf”, l’alleanza politica con il segretario socialista e Andreotti. Sia quando assunse per la seconda volta la carica di segretario dall’89 al ‘92. 

TANGENTOPOLI

Proprio il 1992 fu l’anno della sua caduta, sia come segretario, sia perché sconfitto dai franchi tiratori andreottiani nella corsa al Quirinale. Un’uscita di scena drammatica quanto iconografica. Forlani, tra gli imputati di spicco nel processo per la maxi-tangente Enimont, sarà ricordato per le immagini della sua sofferta deposizione mentre risponde alle domande di Antonio Di Pietro, alternando «non so» e «non ricordo» che gli costeranno in via definitiva 2 anni e 4 mesi per finanziamento illecito, poi riconvertiti in servizi sociali. Una pena mai davvero digerita. «Quello che le posso dire – spiegò Forlani al Messaggero anni dopo - è che usufruii della pena alternativa del servizio sociale sulla base della sentenza del tribunale di sorveglianza che ha scritto: “Non risulta essere personalmente intervenuto sulla concreta gestione degli irregolari finanziamenti ricevuti dal suo partito”». Parole che non lo hanno salvato da un oblio politico da cui, non è mai fuggito. «È ingiusto, ma berrò la mia cicuta». 

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