Leonardo Sciascia, quando pianse vedendo Nuovo Cinema Paradiso

Leonardo Sciascia, quando pianse vedendo Nuovo Cinema Paradiso
di Matteo Collura
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Domenica 20 Gennaio 2019, 12:12
Sciascia e il cinema. Un legame forte, soprattutto negli anni giovanili dello scrittore, il quale in seguito si può dire non mise piede in un cinematografo, tranne qualche eccezione. Una di queste quando, accompagnato da un cronista del quotidiano L'Ora, nel 1987 assistette, a Palermo, alla proiezione del film Todo modo, diretto da Elio Petri e tratto dal suo romanzo. Due anni dopo, fu all'Odeon di Milano, dove venne proiettato appositamente per lui il film di Giuseppe Tornatore, Nuovo cinema Paradiso, fresco del successo al Festival di Cannes e non ancora premiato con l'Oscar.

L'EMOZIONE
In quell'occasione fu il sottoscritto a fare da tramite tra Tornatore e Sciascia. Appreso che lo scrittore si trovava a Milano per le cure mediche, il regista mi telefonò perché trasmettessi a Sciascia l'invito a una proiezione privata del film. «Potrà andare a vederlo quando vuole e in una sala messa a disposizione per lui», propose Tornatore. Sciascia accettò. Fu così che vide Nuovo cinema Paradiso. Con lui, la moglie Maria e qualche amico. Allo scrittore la pellicola piacque, ritrovandovi l'atmosfera di quel che accadeva nel cinematografo di Racalmuto, lui ragazzo. Ricordo che pianse, commosso dalla vivida rappresentazione, ma anche perché puntualizzò Maria Sciascia provato dal male che lo indeboliva nel fisico e nel controllo delle emozioni.

Il cinema muto soprattutto ebbe ruolo importante nell'infanzia e nell'adolescenza di Sciascia. Precisò in una intervista: «Per il mio modo di raccontare, credo di avere un debito più con il cinema che con la letteratura». Il cinema come apprendistato che avrebbe preceduto la stagione delle letture. Questo aiutò il futuro scrittore nella riflessione critica, con la stesura di annotazioni che riguardavano i vari film visti.
In proposito Sciascia: «La cosa curiosa, scoperta qualche anno fa, è che Gesualdo Bufalino faceva la stessa cosa. Non molto curiosa, a pensarci bene: perché per lui, per me, per altri della nostra generazione e della nostra vocazione, il cinema era allora tutto. Tutto».

IL GRIMALDELLO
Bufalino replicò: «Fu il cinema la passione suprema di lui, di me, di tanti adolescenti di quella generazione. Il cinema americano e francese degli anni Trenta fu il grimaldello che ci consentì di evadere dalle nostre bastiglie di universitari fascisti. Si è tanto detto di Americana e di come aprì gli occhi ai giovani ciechi che per tanto tempo fummo. Ma il cinema venne prima e contò di più. Forse lo stesso Vittorini, prima che nei libri di Faulkner e Saroyan, di Hemingway e Steinbeck, scoprì l'America sullo schermo. Altrettanto Sciascia».

MORALISTA
Illuminanti, queste parole; per questo affidiamo a Bufalino la conclusione: «Con una particolarità, per Sciascia: che egli, com'era nella sua natura di precoce moralista, al cinema di quegli anni chiese meno le fantasie dell'avventura o il solletico ilare della commedia sofisticata e più l'intimismo, il rovello ideologico e concettuale: meno i prototipi dell'euforico maschio americano, col cappello a sghimbescio e i piedi sul tavolo, e più le maschere europee dell'interiorità e del dolore: Louis Jouvet, Ivan Mosjoukine»
 
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