Giovanna Della Posta (Ceo di Invimit): ««L’indipendenza economica, la chiave per essere libere»​

La sua carriera di successo è partita dalla gavetta, studiando e lavorando per mantenersi all’università, fino ad approdare ad Harvard

Giovanna Della Posta (Ceo di Invimit): ««L’indipendenza economica, la chiave per essere libere»
di Franca Giansoldati
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Venerdì 8 Marzo 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 07:39

«Bisogna credere nei propri sogni, avere fiducia in se stesse, non mollare mai. È importante dirlo oggi, Otto Marzo, alle giovani donne. Se tenete davvero a un sogno, allora voi per prime fate un pezzetto di strada per raggiungerlo, perché il sogno non verrà mai a bussare alla vostra porta. Dietro un sogno, infatti, c’è sempre tanto sacrificio, lavoro e una buona dose di positività. Per raggiungere i miei sogni anche io ho fatto tanti sacrifici». Giovanna Della Posta, 51 anni, è la super manager degli immobili pubblici. Dal 2019 è la CEO di Invimit, società che ha generato 500 milioni di introiti per lo Stato e per gli enti pubblici. La sua carriera di successo è partita dalla gavetta, studiando e lavorando per mantenersi all’università, fino ad approdare ad Harvard. Alle spalle aveva una famiglia modesta ma di saldissimi principi: onestà, correttezza, tenacia e giustizia. Alle ragazze offre un suggerimento: di conquistare sempre l’indipendenza economica, in poche parole avere un lavoro e un proprio conto in banca al quale attingere liberamente e su cui poter contare in ogni momento della vita.
Cosa è per lei l’Otto Marzo?
«Un valore che ci permette di ricordare la condizione femminile. Noi stesse - me compresa - dovremmo soffermarci di più a riflettere sul nostro ruolo e sulle nostre aspirazioni, a volte ce ne dimentichiamo perché anteponiamo gli altri a noi stesse. Ogni giorno le donne sperimentano l’altruismo, la cura, il saper risolvere problemi, piccoli e grandi contemporaneamente. Le donne poi sono flessibili e dotate mediamente di empatia».
Come fa a conciliare il suo ruolo con la famiglia?
«Non è facile. Comporta sforzi e tante energie. Ai miei due figli, sin da piccoli, ho spiegato che mestiere facevo. Dovevo partire, viaggiare, lavorare e accudirli, tutto contemporaneamente. I bambini hanno bisogno di comprendere. Quando mia figlia era piccolina le spiegavo che grazie al nostro operato si aiuta il Paese a contenere il debito pubblico. Un giorno, dopo avermi vista entusiasta per un progetto andato in porto, mi chiese: “mamma, ma allora noi pagheremo meno tasse?”. Le spiegai che non era proprio così diretto, però il mio lavoro dava un contributo. Racconto loro cosa sto facendo e li rendo orgogliosi».
Le adolescenti sono alla ricerca di modelli femminili a cui ispirarsi...
«Le cose stanno cambiando anche da noi e già il fatto di avere in Italia finalmente un Presidente del Consiglio donna conta tantissimo».
Suo marito le è di supporto?
«Sì, mio marito partecipa, anche perché io faccio altrettanto quando lui viaggia. Abbiamo comunque degli aiuti. In generale, tuttavia, il supporto maschile tende ad attenuarsi laddove entrano in gioco dinamiche tradizionali, talvolta non proprio sfumature. Il discorso sarebbe piuttosto lungo. Diciamo che comunemente non ci sono ancora ruoli intercambiabili nell’economia di una famiglia».
Quanto è forte il patriarcato in Italia?
«La mentalità patriarcale esiste ed è difficile da scalfire. Le poche donne che hanno rotto il cosiddetto “soffitto di cristallo” stanno provando a scardinare gabbie e cliché. Quando leggo di tante violenze sulle donne non posso non vedere un fil rouge che collega tante vittime al tema dell’indipendenza economica. Chi aveva lasciato il lavoro, chi non era riuscita a collocarsi in maniera autonoma. Tutte dipendevano dal compagno o dal marito o dall’ex marito. Bisognerebbe ragionare e pensare a come colmare questo gap».
Cosa si potrebbe fare?
«Tanto per cominciare parlarne di più.

Ho appena finito di leggere un best seller americano che ho consigliato anche a mia figlia tredicenne. La storia è quella di una madre e di una figlia: la prima è vittima di violenza familiare, la seconda promette a se stessa che non avrebbe mai accettato quel destino per sé. Crescendo, però, si trova a vivere la situazione che più di tutte non avrebbe accettato. A differenza della madre, grazie alla sua indipendenza economica, lascia il compagno e decide di crescere da sola il bambino in arrivo. Nel passaggio, ovviamente, rivede tutto quello che sua madre non ha mai potuto fare». 

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