«Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame», scrive Rosella Postorino nel meraviglioso «Le assaggiatrici». Nel libro racconta delle donne costrette ad assaggiare il cibo destinato a Hitler per essere sicuri che non fosse avvelenato. Quello che ha pensato di fare anche Vladimir Putin: le minacce sulla tv di stato russa oltre alla spietatezza dello zar nascondono la paura - inevitabile - di minacce esterne ma anche interne.
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Il timore del veleno
Perché dietro alla denuncia dei russi che si oppongono alla guerra come «feccia» e «traditori» da «sputare come moscerini», si nasconde il timore (che in Russia definiscono «paranoia») che qualcuno possa cercare di ucciderlo. Come? Con il veleno, il metodo più usato fin dai tempi dell'ex Unione Sovietica.
E che il veleno sia il metodo "preferito" per uccidere in Russia, Putin dovrebbe saperlo: si ritiene che i suoi agenti abbiano ucciso Alexander Litvinenko, ex agente dei servizi segreti e poi dissidente, aggiungendo veleno radioattivo a una tazza di tè nel 2006. E nel 2018, le autorità affermano che i collaboratori di Putin abbiano spruzzato veleno mortale sulla porta d'ingresso dell'ex spia Sergei Skripal con lui e sua figlia salvi per miracolo. E Putin avrebbe anche ordinato l'avvelenamento del leader dell'opposizione russa Alexei Navalny.
L'addio del generale Gravrilov
A riprova delle preoccupazioni di Vladimir Putin e della stretta sugli organismi direttamente responsabili della fallimentare campagna di Ucraina, c'è il siluramento dei vertici della Guardia nazionale russa, istituita personalmente da Putin nel 2016, storica erede del “Corpo delle Guardie interne” creato nel 1811 dallo Zar Alessandro I. Il generale Roman Gavrilov, vicecomandante della Rosgvardia, sarebbe stato arrestato dall’Fsb (i servizi di sicurezza della Federazione russa, l’ex Kgb), secondo altri solo «rimosso dall’incarico», con l’accusa di fuga di notizie e abusi amministrativi. A divulgare la notizia è Christo Grozev, giornalista investigativo del sito “Bellingcat”, che rimanda a tre «fonti indipendenti». Puntuale anche la smentita, tramite il deputato della Duma, Aleksandr Khinstein, per il quale l’arresto è «un falso assoluto».
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