Gaza, Amal e i suoi figli in una stanza: «Beviamo acqua sporca e non abbiamo più cibo. Pronti a morire, ma tutti insieme»

Amal Helles è una giornalista palestinese, che sul Times scrive reportage dalla Striscia raccontando le sue giornate tra bombe e macerie

Gaza, Amal e i suoi figli in una stanza: «Beviamo acqua sporca e non abbiamo più cibo. Pronti a morire, ma tutti insieme»
di Michela Allegri
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Domenica 5 Novembre 2023, 22:03 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 06:19

Dormono tutti nella stessa stanza, «uno accanto all’altra. Così se moriremo, moriremo tutti insieme». E al mattino, quando indossa il giubbotto antiproiettile ed esce dal palazzo dove la sua famiglia si è rifugiata, insieme ad altri sfollati, per raccontare delle bombe, della fame, delle macerie che restano tra le strade di Gaza, Amal non sa mai se alla sera potrà riabbracciare i suoi bambini. Loro le telefonano ogni pomeriggio - «Mamma dove sei? Torna presto, ti prego» - e a volte le chiamate si interrompono all’improvviso per il blackout delle reti. Amal Helles è una giornalista palestinese, che sul Times racconta le sue giornate nella Striscia. La guerra e la fame, una bottiglia di acqua che deve dissetare quattro persone per tre giorni. «Ma è acqua mista, non filtrata, dobbiamo farcela andare bene lo stesso», scrive.

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LA ROUTINE
Anche il marito di Amal è un giornalista.

Anche lui esce al mattino per scrivere reportage da Gaza. «La nostra vita era così diversa prima della guerra - racconta lei - avevo una routine nel mio lavoro. Ora mi sveglio alle cinque del mattino e invece di sentire il canto degli uccelli sento i bombardamenti nel mio quartiere». I bambini di notte non dormono, hanno 4 e 7 anni. Restano svegli per il rumore degli aerei da guerra e delle bombe. «Ogni mattina resto mezzora sulla porta a salutare i miei figli, abbracciandoli e baciandoli. So che forse non tornerò a casa», racconta Amal sul Times. Le strade sino piene di edifici distrutti, intere famiglie sono rimaste sotto le macerie. C’è chi ha perso tutto, c’è chi è rimasto solo al mondo. In molti non hanno cibo, acqua o pane. Nelle case manca l’elettricità, quando cala la notte si resta al buio e sale il terrore. Amal ogni giorno porta a casa quello che riesce a trovare: cose facili da preparare, che non richiedono cottura, cibo in scatola, spaghetti istantanei. Procurarsi il pane è sempre più difficile: «I panifici sono stati presi di mira, andarci fa paura». Conservare gli alimenti è difficile: ormai nessuno ha più un frigorifero che funzioni, perché manca la corrente elettrica. «Quando esco per lavorare vedo il dolore negli occhi delle persone. Non hanno nulla, ma cercano di offrirci da mangiare e da bere. Mi colpisce la gentilezza degli estranei», racconta. Sentirsi al sicuro è impossibile, anche quando Amal torna a casa. Ogni notte è insonne, ogni mattina allontanarsi dai figli fa più paura. Qualche giorno fa all’alba è andata con alcuni colleghi al valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto. A causa di un blackout delle linee telefoniche non è riuscita a ricevere la chiamata quotidiana dei bambini. Hanno aspettato di vederla tornare a casa per andare a dormire.

LA FAMIGLIA
Amal ha due sorelle. Una vive a Rafah e l’altra nella regione centrale. Dall’inizio della guerra non è riuscita a sentirle al telefono. Riescono a comunicare solo tramite messaggi che partono e arrivano a singhiozzo. La vita familiare si è interrotta. Prima dell’esplosione del conflitto la domenica Amal e il marito andavano con i bambini al parco giochi, mangiavano al ristorante e poi andavano a trovare i nonni. Adesso i ristoranti hanno le porte sbarrate e i muri crepati, e i bambini non possono uscire. Giocano dentro casa, abbracciandosi ogni volta che lo scoppio di una bomba fa tremare i muri. Qualche mese fa lei e il marito hanno comprato una nuova casa. L’hanno dovuta lasciare e non sanno se sia stata distrutta. «Ho chiesto a mia figlia cosa vorranno fare lei e il fratellino dopo la fine della guerra. Ha detto: Vogliamo andare a Kids Land, mangiare un hamburger e bere acqua, ma acqua pulita».

NUOVE ABITUDINI
Ogni sera Amal torna a casa dopo essersi riempita gli occhi di orrore. «Non voglio che i miei figli vivano tutto questo», racconta. I bambini poco per volta si stanno adattando al terrore. Sanno che alla notte il buio diventerà totale, perché non c’è elettricità. Hanno imparato a conservare l’acqua - «ho nascosto una bottiglietta così posso lavarmi la faccia ogni mattina» -, conoscono termini come «cessate il fuoco», «tregua», «bombardamento». Tutte le notti i bimbi dormono abbracciati, tra mamma e papà, che non sono sicuri se al mattino saranno tutti ancora vivi. 
 

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