Ermanno Scervino: «L'abito fa il monaco. E io non indosserò mai il borsello»

Ermanno Scervino: «L'abito fa il monaco. E io non indosserò mai il borsello»
di Anna Franco
4 Minuti di Lettura
Venerdì 1 Marzo 2019, 09:59
«Glielo dico subito: non avrei potuto fare altro se non quello che faccio». Ermanno è la parte creativa del brand Ermanno Scervino, fondato nel 2000; l'altra anima è Toni Scervino, socio e ad, colui che fa quadrare i conti. La leggenda, peraltro confermata dallo stilista, narra che la passione per la moda si manifestò addirittura in età prescolare, un giorno sulla neve: «Da piccolo guardavo sempre come si vestivano le persone e pensavo a come le avrei cambiate. Quella volta per andare a sciare mia madre mi aveva fatto indossare una giacca a vento decisamente brutta. Ne rubai una a mio fratello, la personalizzai a mio gusto e piacque anche parecchio, tranne che alla mia famiglia. Credo, però, che il loro fu più che altro per puntiglio». Quando si dice avere le idee chiare su cosa si vuole fare da grandi. Dopo il debutto a Cortina, sono arrivate Parigi, New York e poi il ritorno in Italia. La sua collezione per il prossimo autunno/inverno invita le donne a brillare tra lurex, borchie e cristalli.

Ha sfilato da poco a Milano, come è andata?
«Ci penso solo la sera stessa. Dal giorno successivo sono proiettato in avanti: c'è l'allestimento nei negozi, la campagna vendite e poi la prossima collezione, sei mesi sono un soffio».

È sempre così?
«Non cambia mai, nemmeno dopo cento passerelle».

C'è qualche rito particolare che compie?
«Ho una consuetudine. Il finale di sfilata è accompagnato immancabilmente dal sottofondo musicale di
If everybody in the world loved everybody in the world degli Stylophonic. La ascoltai per la prima volta nel 2005 e ne rimasi colpito».

Ovvero sarebbe bello se tutti amassero tutti. Lei ama?
«Certo, molto. Amo l'arte, la mia città, il mio cane Orso e le donne, la loro sensualità e femminilità. Ed è questo amore che mi spinge a creare».

Soffre per l'esclusione di alcuni capi dalla passerella?
«Ovviamente i capi creati sono molto più di quelli che escono. È lo styling a sancire i circa 40 look che poi vengono effettivamente presentati. Chiaro, se potessi decidere io, ne farei sfilare cento. Ma bisogna tenere conto della tempistica della sfilata e darle anche una coerenza forte».

Delega o controlla tutto personalmente?
«Stretta supervisione, ma per passione, non per deliri di onnipotenza. Garantisco».

Si parla spesso della solitudine dei numeri primi. Lei si sente solo?
«Sono circondato da persone e da un team molto affiatato, quindi non direi di sentirmi solo. Certo, quando si è al vertice di un'azienda si avverte una forte responsabilità e ci si può sentire un po' isolati. Ma supero questa paura lavorando duramente».

Cosa non vedremo mai sulla passerella di Scervino?
«La volgarità. Le cose esagerate, fatte solo per far parlare, non appartengono al mio mondo».

E cosa mai su di lei?
«Il borsello! Per il telefonino ho la tasca interna della giacca, per tutto il resto un borsone di pelle».

I pareri come li assimila?
«Quelli negativi, se sensati e motivati, mi spingono a migliorare. I complimenti fanno piacere, ma ciò che mi inorgoglisce di più è vedere donne diverse per personalità e ruolo, come Amal Clooney, Nicole Kidman o la regina Rania di Giordania, che indossano le mie creazioni».

Sui social c'è chi ha detto che sarebbe stato meglio che Claudio Baglioni a Sanremo fosse stato vestito da un suo collega...
«I social sono il megafono di ogni singolo individuo. È giusto che le persone abbiano idee diverse, ma se uno le ascoltasse tutte non avrebbe tempo per fare altro. L'importante è che Claudio, un amico oltre che un grande artista, abbia scelto me e la mia maison».

La sua giornata tipo?
«Votata al lavoro. Dal mattino faccio la spola tra l'atelier e il laboratorio couture, dove lavorano le mie preziose sarte, per tutto il giorno. Mi rilasso la sera quando torno a casa, e in questo senso la compagnia di Orso è insostituibile: è di fianco a me mentre guardo un film, a portata di mano per ricevere le mie carezze».

La parte più difficile?
«Trasporre le mie idee astratte, le ispirazioni, in materiali, colori e forme».

In genere è soddisfatto o le manca qualcosa?
«La soddisfazione non mi appartiene. Tendo sempre a vedere i miei difetti piuttosto che i pregi. Non sono solito mandarmi fiori da solo».

Il tutto a Firenze. Perché lei, milanese, ha scelto questa città?
«Vivere e lavorare in una città bella e ricca di arte è un privilegio. Dopo aver viaggiato tanto ho deciso di prendere casa qui e di stabilire qui anche la sede dell'azienda. Ritengo il know how artigianale italiano, e in particolare quello toscano, insuperabile».

Situazione tipo: deve vestire una donna. Come si regola?
«Potrei dire la fisicità, l'incarnato, i capelli Ma in realtà trovo più proficuo parlarle: devo capirne la personalità».

L'abito... concluda la frase.
«L'abito fa il monaco, eccome, e come tale va curato, evitando la sciatteria».
 
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