Terni, premiata Renata Ersilia Salvati
prima assessora del Comune
«Una vita in politica in nome dell'equità sociale»

Ersilia Salvati
di Alberto Favilla
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Domenica 14 Luglio 2019, 18:08 - Ultimo aggiornamento: 18:28

Ha 99 anni, quasi un secolo, ma non li dimostra anche perché tutte le mattine, elegantissima, alle 9 in punto, si presenta nel suo ufficio, in via Vanzetti a Terni. «Leggo i giornali, discuto con i miei figli Stefano e Federico, insomma il mio lavoro è più iderale che sostanziale».
Renata Ersilia Stefanini Salvati nei giorni scorsi è stata insignita dal sindaco di Terni del Thyrus d'oro - fa parte della storia di Terni, la Terni post bellica, quella della ricostruzione che ebbe al centro il Palazzo del Comune e le varie forze politiche.
Ha militato nell'Udi (Unione donne italiane), è stata la prima donna candidata dal Pci in Consiglio comunale a Terni nel 1952 ricoprendo poi la carica di primo assessore donna in Comune, alla pubblica istruzione con i sindaci Michiorri, Secci e Ottaviani. Fu tra le protagoniste subì anche una condanna delle manifestazioni operaie contro i licenziamenti, oltre duemila, della Società Terni tra il '52 e il '53. Renata, la rivoluzionaria, la ribelle, così era chiamata dai suoi avversari politici, in quegli anni salì alla ribalta.
Come cominciò la sua carriera?
«Diventai funzionaria del partito comunista poco dopo la Liberazione, quando Terni era piena di problemi: povertà, sporcizia, macerie. Avevo 28 anni e andavo a sostituire Ines Faina, una partigiana che si stava laureando all'università di Urbino. La selezione fu severissima e prima di essere ammessa nell'apparato del Partito fui sottoposta per mesi ad una discreta, ma costante, sorveglianza».
Come nasce la sua coscienza politica?
«Il mio primo marito era un antifascista e fummo costretti durante il Fascismo a fuggire nel Chianti, in Toscana. Fu mio cognato a farci nascondere da un contadino, anche lui di sinistra. Mi ricordo bene che fummo fermati dai tedeschi che ci tennero ostaggi per 48 ore vietandoci anche di espletare i nostri bisogni. Insomma, ci tolsero la dignità e la voglia di vivere. Avrei preferito morire che subire quell'umiliazione. Fu in quel momento che scelsi di collaborare con i partigiani maturando la mia coscienza politica».
Come avvenne l'approdo al Comunismo?
«Il partito comunista russo per me divenne una religione: credevo ciecamente che nell'Unione sovietica ci fosse libertà e uguaglianza. Dovevo studiare, imparare il marxismo, avere una buona preparazione ideologica. Carlo Farini, uno dei fondatori del Pci, era il '49, mi propose come premio per la mia giovane attività nell'apparato di frequentare la scuola di partito a Milano. L'anno prima ricordo c'era stato l'attentato a Togliatti con tutte le sue ripercussioni. Mio figlio Stefano aveva solo tre anni ma accettai e partii per istruirmi».
Il '49 è un anno che a Terni nessuno ha mai dimenticato.
«Era marzo. All'improvviso dalla Federazione di Terni mi telefonarono a Milano invitandomi a rientrare. Durante una manifestazione contro il Patto Atlantico la celere davanti alle Acciaierie aveva sparato ed era morto un giovane operaio, Luigi Trastulli, lasciando sola la giovane moglie Zaira e un figlio Alfredo di pochissimi mesi. Cominciarono i licenziamenti che avvennero in base ad una chiara discriminazione politica»
Poi le dimissioni da assessore. Come mai?
«A settembre del '58 diedi le dimissioni da assessore e nel 1960, alle elezioni per il rinnovo del Consiglio, il partito mi tolse di mezzo. Davo fastidio al sindaco Ottaviani. Con il suo predecessore Secci non facevo solo l'assessore a volte lo sostituivo anche. Diventai ingombrante per il partito».
Dopo anni di dimenticanza la Rivoluzionaria di professione ha ricevuto nei giorni scorsi il Tyrus d'oro. Cosa significa essere premiata da una amministrazione di centrodestra?
«Credo che si tratti di un atto di grande democrazia. Sono molto grata al sindaco Latini. E' un riconoscimento a cui tengo molto e che mi onora. Spero vivamente che il Palazzo comunale torni ad essere il palazzo di tutti i cittadini».
Di quel partito, di quella fede, cosa è rimasto?
«Sono rimasta nel Pci fino al suo scioglimento anche se in me non si è mai staccata la consapevolezza di quel sogno di giustizia, di uguaglianza, di riscatto, di emancipazione e di libertà».
 

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