La ricercatrice del CNR: «Le piante possono curare lo stress grazie alle molecole del benessere»

La ricercatrice del CNR: «Le piante possono curare lo stress grazie alle molecole del benessere»
di Marina Cappa
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Sabato 2 Marzo 2024, 10:08

Gloria Bertoli sta cercando di scoprire la «molecola del benessere». Non è una pratica zen o una nuova frontiera del fitness: è un microfilamento grigio trasparente. 48 anni, milanese, Bertoli è biologa al Cnr della sua città. Da un anno e mezzo lavora a una ricerca nata grazie al Pnrr, che ha finanziato la nascita del National Biodiversity Future Center (Nbcf). «L'Italia è il Paese con più biodiversità in Europa, però ne stiamo perdendo circa il 25 per cento».
L'effetto non è solo un fiore in meno o un insetto che scompare. «In Amazzonia, se la foresta brucia, l'indigeno non ha più accesso all'acqua pulita, alle piante di cui si nutre, agli animali che lo aiutano. Ma anche ai potenziali farmaci, basti pensare che l'acido salicilico dell'Aspirina deriva da una pianta. Flora e fauna possono essere origine di nuovi farmaci». In Amazzonia come in Italia.

LE PIANTE

Nello "Spoke 6", gruppo di lavoro, di cui è responsabile per il Nbcf, Bertoli studia estratti da piante come l'aglio o la salvia, in grado di agire sui tumori. Quanto alla molecola del benessere: «Lavoro sui "miRNA", regolatori delle vie accese o spente dalla cellula in funzione dello stimolo esterno»: in termini profani, una sorta di semaforo che a fronte dell'esposizione a fattori come l'inquinamento o lo stress regola la risposta delle molecole. Come nel caso della luce, che «influenza non solo la psicologia ma anche la fisiologia dell'individuo». L'aspetto più inquietante è che questi "miRNA" agiscono velocissimi: «Cinque minuti di esposizione a un particolato urbano che superi i livelli massimi e la risposta dell'organismo durerà nel tempo, tanto più se parliamo di individui malati». Ribaltando la prospettiva, allora: perché non studiare anche gli stimoli positivi? Il lavoro del Nbcf ha trovato adesso una sponda giuridica nel Nature Restoration Law, appena approvato dal Parlamento europeo e volto al ripristino degli ecosistemi in Europa. Ciò non significa però automaticamente che la vita della ricercatrice in Italia sia semplice. «Negli Stati Uniti hai molte più opportunità e possibilità economiche. Da noi la ricerca, non essendo immediatamente produttiva, è vista come qualcosa di poco concreto. Invece crea tanta innovazione e gli italiani nel mondo di solito emergono».

LE RISPOSTE

Come Renato Dulbecco, che ha vinto il Nobel per la medicina e con cui Bertoli ha lavorato: «Gli mandavamo 20 pagine di paper, ne tornavano 50 dense di osservazioni». Ma la tentazione di andare all'estero l'ha mai avuta? «Avevo delle opportunità ma... è intervenuto l'amore, ho conosciuto mio marito, tecnico del laboratorio in cui lavoravo». Anche le ricercatrici hanno cuore. Non tutte.

IL MERITO

«Da donna devi sempre dimostrare di meritarti quel posto, soprattutto quando sei sotto la guida di altre donne, che hanno dedicato la vita alla ricerca e non capiscono il valore della famiglia. A me è stato detto: non puoi avere figli se sei ricercatore. Dopo dieci anni da precaria, però, ho vinto il concorso quando ero incinta di Pietro, che oggi ha 15 anni ed è nato al sesto mese. Prematuro, forse perché lavoravo troppo.
Eppure le scienziate hanno capacità di problem solving più efficaci degli uomini: se dalla ricerca non ottengono le risposte che si aspettano, sanno affrontarla con ottiche diverse, con molte più probabilità di trovare la soluzione».

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