Beatrice Rana, «Suono controcorrente: è la forza delle donne»

Beatrice Rana
di Simona Antonucci
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Sabato 16 Novembre 2019, 11:00

«Papà mi veniva a prendere a scuola, frequentavo le medie. In macchina trovavo i tortellini fatti da mamma e il cuscino per fare il riposino che per noi del Sud è sacro. Un'ora per mangiare e dormire prima di entrare al conservatorio di Monopoli dove mi aspettava il mio maestro di pianoforte, Benedetto Lupo: è da lui che ho imparato tutto». Beatrice Rana, 26 anni, è una pianista di fama mondiale. E ora è attesa a Santa Cecilia, a Roma, il 20, dove suonerà anche brani dell'ultimo disco, inciso per la Warner e dedicato a Stravinskij e Ravel. Cavaliere della Repubblica, è una luminosa ragazza bruna, salentina, fiera di sentirsi «donna, frutto della scuola italiana» e di aver intrapreso il cammino verso le sale da concerto di tutto il mondo (Musikverein, Philharmonie, La Scala, Carnegie Hall) partendo bambina da Arnesano, alle porte di Lecce «dove le bande del paese sono un'istituzione e le signore anziane sono tutte melomani: quando arrivavano i cantanti a prendere lezione dai miei genitori, si sistemavano con le sedie sotto le finestre e trascorrevano ore a godersi le arie».
Donna, di un paesino del Sud: il suo successo ha sfatato molti luoghi comuni?
«In un mondo maschile e maschilista come quello della musica classica, per una donna, riuscire ad affermarsi non è scontato. Io non l'ho mai considerato un limite, ma un punto di forza».
Ed è un pensiero condiviso dai colleghi o ha dovuto combattere per affermarlo?
«Nel mondo della comunicazione e del marketing, ora funziona molto. Direttore d'orchestra donna... Pianista donna... fa notizia e glamour. Ma a me non piace essere definita così. Perché per gli uomini non si dice mai?».
E lei perché considera la femminilità un punto di forza?
«Le grandi figure femminili sono state spesso nell'ombra, ora ci sono più voci e anche l'arte acquista nuove sfaccettature. Abbiamo un nostro modo di interpretare i sentimenti e le emozioni e ora c'è più coraggio nel manifestarlo».
Lei è giovane e già famosa, ma crede che gli uomini esercitino forme di potere e ricatto su colleghe più inesperte o indifese?
«Sì. A me non è successo. Ma ho sentito tanti racconti».
Esiste una solidarietà tra donne musiciste?
«Io non amo le quote rosa. Bisogna incoraggiare e supportare, ma è la qualità che deve guidare le scelte. Non nascondo, però, che vivo con grande gioia la condivisione di un concerto o di un progetto con colleghe».
Trova tempo per l'amore o le donne in carriera devono rinunciare alla vita privata?
«Il tempo si trova sempre se si considera un rapporto importante. Mettere su famiglia sarebbe complicato, ma è presto per pensarci».
Un uomo che le sta accanto non teme di essere considerato una figura in secondo piano?
«Le donne che hanno vissuto accanto a uomini importanti spesso sono state nell'ombra. Chissà, forse nel Terzo Millennio succederà il contrario».
Lei ha costruito il suo successo soprattutto in Italia: il contrario di un cervello in fuga.
«Dopo il liceo, stata quattro anni in Germania. Fondamentali. Anche per scoprire quanto sono italiana e meridionale. Che nel nostro Paese abbiamo tanti insegnanti e tanti musicisti eccellenti. Sono tornata a Roma e non me sono più andata, se non per fare concerti e registrazioni o per andare in Salento dove ho creato un piccolo festival, Classiche Forme, dedicato alla bellezza della musica e della mia Terra».
Nel curriculum di molti suoi colleghi compaiono scuole internazionali...
«Per me è un vanto aver studiato in una scuola pubblica, gratuita, di un piccolo centro di provincia. Dopo la Germania ho incontrato il Maestro Pappano, l'Accademia di Santa Cecilia che all'estero sono orgoglio italiano. Gli stranieri hanno molta considerazione della nostra tradizione».
Dei tanti premi che ha ricevuto, qual è la medaglia che le ha cambiato la vita?
«Quando ho vinto il concorso di Montreal dovevo ancora fare la maturità. Solo due anni dopo, quando è arrivato il Van Cliburn ho capito che nulla sarebbe rimasto uguale».
Non si è dovuta mai fare la domanda: che cosa farò da grande?
«E invece sì. Ma la risposta è arrivata immediata: senza musica non riuscirei a sopravvivere».
Perché?
«La stessa sensazione che potrebbe provare una persona che parla. E che poi diventa muta».

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